Management osteopatico: pianificazione del trattamento

Franco Guolo

di Franco Guolo, D.O.*

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La gestione del paziente prende in esame vari aspetti che vanno da quello concettuale/filosofico a quello di relazione professionista/paziente, fino a quello puramente tecnico: tutti sono finalizzati a una sintesi finale che codifica il contratto etico e professionale, stipulato col paziente.

La relazione osteopata/paziente da un punto di vista legale, non può prescindere dall’adozione di un corretto sistema di registrazione di dati del paziente, con conseguenti strumenti di conservazione e liberatoria firmata dal paziente stesso (Regolamento UE n. 679 del 2016, c.d. GDPR) che deve assolutamente essere stipulata anche per il consenso informato al trattamento (legge del 22/12/2017). Tutto questo a maggior ragione ora che si parla in maniera sempre più insistente di professione sanitaria.

In ambito relazionale va posta l’attenzione al “gergo osteopatico” ancora molto legato alle metafore filosofiche dei vecchi maestri. 

Alla luce dei nuovi sviluppi politici e giuridici riguardo all’inquadramento dell’osteopatia è dunque fondamentale avere capacità empatica e saper utilizzare un linguaggio consono all’ambiente scientifico e, allo stesso tempo, comprensibile da parte del paziente; è importante la relazione con il resto del mondo sanitario e anche in questo va sottolineata l’importanza di un gergo scientifico e non osteopatico in senso stretto, come troppo spesso si continua a sentire e, ancor peggio, a leggere.

Il trait-d’union col mondo scientifico si fa soprattutto con l’anatomia così cara a Still (“anatomia, anatomia e ancora anatomia”), tanto che abitualmente l’osteopata identifica la disfunzione con strutture anatomiche ben precise. E’ necessario tener sempre conto però della grande incidenza di varianti anatomiche (70% dei pazienti a controllo TC – Moore 2017) citati anche in letteratura osteopatica rispetto a punti di repere  dell’apparato viscerale (Fiorella, 2001 – Ballal, 2001 – Prandota, 2003 – Rugarli, 2012 – Sharma, 2014), muscoloscheletrico (Grob, 2016), vascolare cervicale (Cappabianca, 2016), neurologico craniale (Alfieri 2010 – Vilensky, 2014) e neurologico periferico (Mallicarjun, 2014)

Snider e al. nel 2011 affermavano che raramente i reperti anatomici individuati come disfunzionali dall’osteopata venivano confermati da indagini strumentali, mentre gli stessi autori nel 2016 ritrovavano spesso, all’indagine endoscopica, alterazioni nell’area topografica limitrofa alla struttura indicata dall’osteopata.

L’aggiornamento è fondamentale per la conoscenza delle nuove scoperte in ambito clinico (es. microbiota – Bellacosa, 2016) e in ambito fisiologico (biomeccanica – Kapandji, 1979 e 2011) che possono cambiare radicalmente l’approccio alla salute del paziente sia dal punto di vista del ragionamento clinico che della scelta tecnica.

Modalità di approccio osteopatico

Il razionale osteopatico dei meccanismi di adattamento alla base della disfunzione somatica poggiano ad oggi su 5 modelli di base, che condizionano la scelta operativa dell’osteopata: biomeccanico, neurologico, circolatorio-respiratorio, biopsicosociale, metabolico-energetico.

Il modello biomeccanico, che potrebbe ricalcare l’aforisma stilliano “solo i tessuti sanno” e che rappresenta il vero interlocutore diretto dell’osteopata, si basa su un’enfasi di adattamento posturale propriocettivo (Hrubi, 1992), sulle proprietà viscoelastiche muscolari (Masi,2010) e sul modello di tensegrità miofasciale (Swanson, 2013).

Il modello neurologico, che ricalca la “legge del nervo” di Still, poggia sul complesso network nervoso del corpo, su relazioni autonomiche (Willard, 1997), sul circuito del dolore (Van Buskirk 1990)  e sui meccanismi propriocettivi (Greenman, 1989). Rappresenta il primo tramite tra sistema contenente e contenuto.

Nel modello circolatorio – respiratorio, che ricalca la “legge dell’arteria” di Still, si pone enfasi al sistema di approvvigionamento energetico del corpo utile a mantenere e recuperare la salute (Trowbridge, 1991 – Lee, 2005), andando a condizionare quindi anche il V modello. In questo modello il sistema veno-linfatico è l’obiettivo fondamentale dell’osteopata (Degenhardt, 1995).

Nel modello metabolico-energetico, si prende in esame la funzione neuroendocrina (Felten, 2000) e quindi ancora la relazione tra sistema nervoso autonomo e libera circolazione dei fluidi corporei (Loo, 2009). Qui l’osteopata deve sapere differenziare quando il paziente si trova in  una situazione di sovraccarico della propria fisiologia, o quando il problema non è fisiologico ma collegabile a evento traumatico.

Nel modello biopsicosociale, che potrebbe spiegare il termine “spirito” dii Still, si valutano le influenze ambientali, relazionali, culturali e di stile di vita del paziente; in questo modello entra l’aspetto emotivo, ambito molto delicato, soprattutto in relazione al dolore soggettivo, in cui trova spazio l’approccio biotipologico (da Pende a Littlejohn) e in cui bisogna fare molta attenzione alle modalità di verbalizzazione del problema.

Nella valutazione osteopatica del paziente bisogna tener conto:

  1. del quadro di adattamento generale: attraverso il test di compenso fasciale (Zink 1979), il test della dinamica fluidica (Cozzolino  2014), il test dei compartimenti fasciali in chiave embriologica (Willard, 2010), il test dei 3 diaframmi (Frymann,2005) e la valutazione posturale secondo Littlejohn (Guolo-Altadonna, 2019)
  2. del quadro di adattamento locoregionale: attraverso il confronto di vicine aree di transizione (Liem,2004), il test di attrazione fasciale (Barral,1997), test delle catene cinematiche (Willard, 2010 e Guolo, 2019)
  3. del quadro di adattamento locale: attraverso il TART da cui si è sviluppata la scheda SOAP che rappresenta una contraddizione filosofica, classificando il sintomo e la malattia.

La pianificazione del trattamento tiene in considerazione tutti questi aspetti partendo dalla cosiddetta disfunzione primaria, cioè la disfunzione adattativa a un dato shock del sistema a monte di una catena di adattamenti secondari.

Per identificarla in letteratura viene dato molto spazio al test di Inibizione (Lunghi,  2017) su cui però permangono numerosi dubbi di affidabilità.

La sintesi decisionale (Lunghi, 2017) può andare dal quadro più semplice in cui la relazione causa/effetto è immediata ed in cui si può procedere con un approccio dal locale al generale, ad un quadro complicato in cui si può iniziare ad operare con un approccio sintomatico, ad un quadro complesso in cui si può preferire un approccio di terreno, ad un quadro caotico in cui si può utilizzare un approccio stimolante, al quadro più confuso in cui si dovrebbe ripetere il protocollo di valutazione ex novo. 

L’obiettivo del trattamento (Lunghi, 2017) in relazione al processo di sintesi può essere risolutivo, conservativo (palliativo), preventivo (su paziente asintomatico), potenziativo (per migliorare le attese di performance). 

L’approccio tecnico può avvenire tramite modalità diretta, che tende a sfinire la difesa autonoma (Greenmann, 1989), indiretta, che tende a rilassare il SNA ortosimpatico (Johnston, 2011), mista, che permetterà di aumentare la risposta di neuromodulazione (Tozzi,2017).

Gli strumenti tecnici sono vari e tra questi il più completo sembra essere il TGO a scopo metabolico ideato da Littlejohn e Wernham (Lunghi,2017).

Si nominano diversi approcci in relazione all’obiettivo (viscerale, somatico, etc.) e al bagaglio di tecniche (fasciale o craniale), ma è sempre un approccio diretto alla struttura muscolo-scheletrica direzionato su aree somatiche differenti, con relazioni neurovascolari diverse.

L’intensità dello stimolo portato dall’operatore può andare da molto lieve (biodinamica) a molto diretto (AVBA) e dovrebbe dipendere dalla situazione neurovegetativa e clinica del paziente.

La gestione globale del paziente in osteopatia si completa spesso con consigli nutrizionali e di allenamento fisico. In entrambi i casi, a meno che l’osteopata non abbia altri titoli competenti, si deve fare molta attenzione a mantenersi su indicazioni generaliste per non rischiare un abuso di professione che attualmente prevede pene anche  molto severe.

*Membro ROI e fisioterapista, Franco Guolo è direttore didattico del CIO – Collegio Italiano Osteopatia, dove insegna Sintesi ed integrazione osteopatica, Osteopatia muscolo scheletrica e mio-fasciale e Clinica Osteopatica nelle sedi di Parma e Bologna. Libero professionista in vari studi e poliambulatori medici, svolge attività di docenza anche presso la scuola SOMA di Milano. Recentemente è stato nominato vicepresidente di AISO – Associazione Italiana Scuole di Osteopatia. Nel 2013 coautore del testo “Preparazione Atletica e riabilitazione” Ed. Medico Scientifica Torino. Nel 2014 ha pubblicato “Atlante di Tecniche di Energia Muscolare”, Ed. Piccin. Ha partecipato come relatore a 20 convegni nazionali tra ambito osteopatico e altri ambiti medico-scientifici.

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