Regolazione prefrontale della risposta allo stress

Regolazione prefrontale della risposta allo stress: la prospettiva dell’integrazione neuro viscerale

di Julian Thayer

 

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Il cuore quando è colpito reagisce sul cervello e lo stato del cervello, a sua volta, ha delle influenze sul cuore attraverso il nervo vago; quindi in seguito a qualunque tipo di eccitazione ci sarà una mutazione e reazione tra cuore e cervello, che sono i due organi più potenti del corpo”.

Proprio come predetto da Darwin e Claude Bernard ogni fattore di rischio, come ipertensione, diabete, colesterolo, fumo, obesità, sedentarietà, storia famigliare ed età, è associato ad una diminuzione dell’attività vagale. Ma, quando l’attività vagale diminuisce, i fattori di rischio aumentano e questo può portare ad uno squilibrio del sistema autonomo.

Il sistema nervoso autonomo è costituito dalla componente simpatica e dalla componente

parasimpatica, ma la componente vagale spesso domina la componente simpatica.

Il nervo vago è un nervo molto lungo ed ha un ruolo molto importante nella fisiologia corporea.

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Ci sono tante afferenze dal nervo vago, come dal viso e dalla testa e sappiamo che, quando eseguiamo delle tecniche manipolative sul cranio, è possibile osservare come queste influenzino tutto il corpo perché verosimilmente stiamo attivando le afferenze vagali nella testa. Le stimolazioni sulla parte efferente del vago, passano attraverso il nucleo del tratto solitario, continuando poi fino alla corteccia prefrontale.

È stato dimostrato che c’è una relazione tra la frequenza cardiaca e le cause di mortalità generale: se la frequenza cardiaca a riposo è maggiore di 90 battiti al minuto, ne risulta un aumento del rischio di mortalità di tre volte rispetto a quando la frequenza cardiaca è inferiore a 60 battiti al minuto.

Le cause di mortalità generale non sono solo dovute a malattie cardiovascolari in quanto il vago è coinvolto nella regolazione non soltanto del cuore, ma anche dell’infiammazione, del glucosio, del colesterolo e del dolore.

 

 

INFLUENZA DEGLI ASPETTI PSICOLOGICI E DELLO STRESS

 

Se durante una passeggiata si osserva qualcosa di strano che potrebbe essere un serpente la risposta di adattamento sarebbe di evitarlo e, questa, è definita “risposta allo stress”.

Queste reazioni ci hanno offerto un vantaggio per la sopravvivenza nel passato, ma nell’evoluzione sono diventate anche un fattore di selezione. Gli individui con una reazione di difesa efficiente e molto veloce sono sopravvissuti selettivamente per passare i loro geni alla generazione successiva; in termini di evoluzione questi meccanismi esistono per preservare l’organismo fino alla maturità sessuale. Ma nelle condizioni della vita contemporanea e con un’aspettativa di vita molto più lunga, questo diventa deleterio per l’organismo.

Quindi se vogliamo estendere l’aspettativa di vita nelle circostanze odierne, può essere necessario sbarazzarci di questa risposta difensiva in quanto, se dovessimo reagire a tutto quello che troviamo per terra e che assomiglia ad un serpente, sarebbe un grosso problema! Questo però, per alcune persone, è proprio quello che succede: certe persone hanno risposte di difesa a degli stimoli neutrali.

Qualunque persona che vede un serpente avrà una risposta adeguata, chiamata “risposta automatica allo stress” e quando si ha il dubbio e ci si prepara per il peggio, si avrà una risposta di adattamento veloce ed automatica, associata a qualcosa che viene chiamato “propensione alla negatività”. Quindi all’informazione di minaccia e di pericolo viene data priorità all’interno del cervello.

Io ho utilizzato questi fatti per cercare di comprendere il lavoro di Claude Bernard e di Darwin e l’ho chiamato: “il modello di integrazione neuroviscerale”.

Con la mia equipe abbiamo dimostrato che il network neurale può essere indicizzato dalla variabilità della frequenza cardiaca e che quindi una maggiore variabilità della frequenza cardiaca è associata ad un tono inibitorio prefrontale maggiore. Una mancanza di inibizione porta ad una risposta alla minaccia indifferenziata rispetto alle sfide ambientali, quindi con meno flessibilità.

Le strutture coinvolte a livello cerebrale comprendono le strutture corticali, la parte media del cervello, il ponte ed il midollo. Attraverso l’asse neurale c’è una comunicazione bidirezionale tra tutte queste componenti. Tutta l’informazione arriva al cuore tramite il ganglio stellato ed il nervo vago.

Questo network è stato identificato in roditori e primati utilizzando una tecnica di marchiatura retrograda; è stato iniettato un virus simile alla rabbia nel cuore (questi virus possono essere specifici per i nervi parasimpatici o per quelli simpatici) e, nel corso della giornata, è stato osservato dove questo virus si è localizzato. Quello che è stato scoperto è che il virus va a finire nel nucleo dorsale, nel nucleo ambiguo, verso il nucleo del tratto solitario, verso la regione della sostanza periacqueduttale, verso l’amigdala, la corteccia cingolata, la corteccia insulare e tutta la via fino alla corteccia mediale prefrontale e verso la corteccia orbito-frontale.

La cosa interessante è che quando questo virus viene iniettato nello stomaco, va a finire nelle stesse strutture appena descritte! Il nervo vago a causa della sua distribuzione molto ampia è in grado di mandare informazioni al cervello su tutto quello che succede nel corpo. Il cervello può poi fare degli aggiustamenti in base a ciò che succede negli altri organi e quest’influenza è inibitoria.

La risposta indifferenziata alla minaccia è associata ad un’attività molto caotica del cervello ed è il nervo vago che formula la risposta appropriata al contesto; la risposta corretta alla vista di un serpente sarebbe la fuga.

Al nodo seno atriale le due vie, colinergica e dell’acetilcolina, sono differenti. La via dell’acetilcolina è relativamente lenta (si parla di secondi) mentre la via colinergica e vagale è molto veloce (millisecondi) e ciò costituisce quell’ampia variabilità che rappresenta un cuore sano.

Sempre riguardo l’esempio del serpente: quando noi vediamo un serpente ed abbiamo la necessità di scappare da esso, se dovessimo dipendere dall’azione del nostro sistema nervoso simpatico moriremmo, perché è troppo lento! Anche se la maggior parte delle persone pensa che sia il sistema nervoso simpatico ad attivarsi per evitare il pericolo, quello che succede realmente è che si attiva una diminuzione dell’influenza inibitoria del vago.

 

COME SI PUÒ MISURARE L’ATTIVITÀ DEL VAGO?

 

A causa delle efferenze che vanno verso il cuore possiamo misurare il tempo tra due battiti per avere un indice di questa influenza vagale e quindi facendo rilevazioni della variabilità della frequenza cardiaca si riesce ad indicizzare l’attività vagale. Per tanti anni sono state studiate la variabilità della frequenza cardiaca e la salute dell’organismo, scoprendo che una bassa variabilità della frequenza cardiaca è associata ad alti livelli di tutti i fattori di rischio (come per esempio ipertensione, diabete, colesterolo, artrite e anche i tumori). È anche correlata alla salute emozionale, quindi alla depressione, ansietà, schizofrenia, a tutti i disordini psicopatologici e anche allo stress da lavoro.

In uno studio pubblicato nel 2001, ad 80 pazienti affetti da epilessia è stata bloccata farmacologicamente la corteccia prefrontale.

La corteccia prefrontale inibisce quello che è il circuito simpatico eccitatorio e quindi,

disattivandola, dovrebbe aumentare la frequenza cardiaca mentre la variabilità della frequenza cardiaca legata al vago dovrebbe diminuire. Questo è quello che è stato dimostrato.

È stato iniettato nelle carotidi un farmaco con proprietà ipnotico-sedative che riesce ad inattivare la porzione anteriore della corteccia e si è osservato che quando la corteccia prefrontale viene inattivata, la frequenza cardiaca sale come quando la frequenza cardiaca aumenta in risposta allo stress ma, in questo caso, c’è un innalzamento della frequenza cardiaca senza che ci sia un agente stressogeno. Quindi se si blocca l’azione della corteccia prefrontale, si ha una risposta allo stress.

A questo punto la domanda non è “da dove arriva lo stress”, ma è “perché lo stress non viene inibito quando si è in una situazione al sicuro e quando non c’è un pericolo?”.

In un altro studio sono stati presi in esame dei pazienti che avevano un danno alla corteccia prefrontale e nei quali era già stata verificata una correlazione con un aumento della frequenza cardiaca. È stata fatta svolgere loro una sfida ortostatica ed uno stress test che prevedeva di fare un discorso davanti ad un pubblico.

È stato osservato che donne e uomini avevano risposte diverse; le donne hanno mostrato una cortisolemia più alta, mentre gli uomini hanno dimostrato una risposta maggiore per quanto riguarda la frequenza cardiaca.

Sia gli uomini che le donne che presentano un danno alla corteccia prefrontale hanno avuto una risposta esagerata ai test, ed è quindi evidente che questa parte del cervello è importante nella regolazione della risposta allo stress.

In un saggio molto recente siamo stati in grado di dimostrare che lo spessore del cervello, ed in particolare una parte del cervello, è associata con la variabilità della frequenza cardiaca.

La correlazione più importante è nell’area cingolata anteriore: più è spessa questa parte del cervello e più sarà alta la variabilità della frequenza cardiaca.

In un altro studio è stata realizzata una meta-analisi in cui, guardando le correlazioni della variabilità della frequenza cardiaca, si è dimostrato che, attraverso diverse modalità e differenti sfide, c’erano tre attivazioni cerebrali significative: la parte anteriore cingolata sul lato destro, la corteccia anteriore cingolata subgenuale sul lato destro e la parte sinistra dell’amigdala.

In altri studi successivi è stato dimostrato che il livello di correlazione tra queste regioni e l’amigdala è strettamente legato alla variabilità della frequenza cardiaca, ovvero, più è forte questa connessione e più alta sarà la variabilità della frequenza cardiaca. Questo dimostra che questa regione prefrontale regola l’amigdala.

Queste parti del cervello vengono associate a diverse funzioni: la parte più dorsale è associata all’aspetto cognitivo ed al controllo delle azioni, la parte rostrale alle emozioni e alla

cognizione sociale e la terza parte riguarda la ricompensa per come è avvenuto il controllo delle azioni. La variabilità della frequenza cardiaca è associata a tutte e tre le regioni e a tutte queste funzioni.

La variabilità della frequenza cardiaca è stata analizzata da un punto di vista medico, in uno studio in cui con il mio team abbiamo dimostrato che la salute percepita dai pazienti era correlata alla frequenza cardiaca.

Quando chiediamo ad un paziente “come va oggi?”, gli chiediamo di auto-valutarsi; è un importante elemento di predizione per la variabilità della frequenza cardiaca. Quello che è stato dimostrato da questo suo studio è che c’è una variazione molto lineare tra la salute auto-riportata e la variabilità della frequenza cardiaca, e questa associazione era più forte rispetto a qualunque altro tipo di marker, come per esempio la pressione sanguigna, il glucosio, il colesterolo, ecc.: l’associazione tra lo stato di salute riportato dal paziente e la frequenza cardiaca era due volte più alta rispetto a tutti gli altri marcatori.

Una cosa interessante è che tante cose di cui ci preoccupiamo frequentemente non succederanno mai e solo pensare a tutte queste cose produce in noi una risposta allo stress.

Quello che pensa un paziente del suo sintomo e della situazione in cui si trova, è la sua malattia poiché più ci si preoccupa e più ci saranno cose di cui preoccuparsi riguardo alla salute. Ci sono anche pazienti che vengono in studio e non hanno nessun problema fisico, ma a causa del modo in cui pensano, lo creano. Cambiare il modo di pensare potrebbe cambiare il corso della malattia.

In un altro studio sono stati esaminati pazienti con problematiche d’ansia e persone senza questo tipo di problematiche: la caratteristica principale nei disordini d’ansia generalizzata è la preoccupazione.

È stato chiesto loro di svolgere due compiti: prima di rilassarsi e poi di “preoccuparsi come si preoccupano solitamente”.

Si è visto che questi soggetti ansiosi presentavano una variabilità della frequenza cardiaca minore, ma se si chiede a chiunque di preoccuparsi la variabilità della frequenza cardiaca diminuisce ulteriormente. Quindi la preoccupazione ha effetto sulla salute.

 

 

COME UN EPISODIO ACUTO DI DOLORE PUÒ DIVENTARE CRONICO?

 

Ci sono tante ricerche per quanto riguarda il controllo cognitivo ed emozionale del dolore e la sua trasformazione in dolore cronico; è ovvio che ci sono delle interazioni tra il dolore, le emozioni e la cognizione. Quello che è chiaro è che ci sono tante aree del cervello associate con il dolore e che sono altresì associate alla variabilità della frequenza cardiaca. Quello che si è scoperto è che lo spessore della corteccia in queste regioni diminuisce nei pazienti con dolore cronico.

In uno studio molto interessante di alcuni anni fa, con il mio team abbiamo analizzato cosa succede nel cervello quando il dolore diventa cronico. Lo studio si basava su pazienti che sono stati testati e analizzati per 60 settimane; alcuni di questi avevano avuto un episodio acuto di dolore che si è risolto dopo circa 10 settimane, un altro gruppo aveva avuto un episodio acuto che non si è risolto, permanendo un dolore cronico per più di un anno. I pazienti sono stati visitati 4 volte.

Nei pazienti in cui il dolore si è risolto, a livello delle regioni nocicettive (del dolore) e delle regioni emozionali è avvenuta, inizialmente, un’attivazione che poi è diminuita.

Dall’altra parte, nei pazienti con dolore cronico, si è presentata un’attività nelle regioni nocicettive che è diminuita nel tempo ma, nelle regioni che presiedono alle emozioni, si è osservato un aumento dell’attività.

Ne risulta che quando il dolore diventa cronico si trasforma da un problema nocicettivo ad un problema emotivo.

 

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Nei pazienti in cui il dolore è scomparso l’attività della corteccia prefrontale è rimasta bassa come anche l’attivazione dell’amigdala; ma in coloro che soffrivano di dolore cronico si è verificata un’attivazione della corteccia prefrontale che è aumentata, come anche l’attività dell’amigdala.

La connessione tra queste due regioni del cervello si ricollega alla variabilità della frequenza cardiaca; quindi i pazienti con dolore cronico avranno una variabilità della frequenza cardiaca più bassa.

Tutti questi fattori sono stati analizzati di nuovo in uno studio molto grosso, alcuni anni fa, comprendente circa 615 lavoratori. Le persone che avevano dolore cronico sono state assenti dal lavoro due volte di più rispetto alle persone che non avevano dolore cronico.

I problemi maggiori riguardavano il sonno, problemi fisici e mentali, un livello del dolore più alto ed una variabilità della frequenza cardiaca minore: inoltre avevano anche alti livelli di infiammazione.

L’influenza inibitoria normale della corteccia prefrontale non è più efficiente e troviamo questa disattivazione o scollegamento tra l’attività del cervello e la variabilità della frequenza cardiaca; la stessa cosa accade, per esempio, nei pazienti che soffrono di depressione oppure nei pazienti che hanno disturbi da stress post-traumatico ed anche in individui che sono stati esposti a maltrattamenti durante l’infanzia.

 

 

COSA SUCCEDE QUANDO SI TRATTA IL DOLORE?

 

È stato analizzato tramite uno studio abbastanza grosso un campione di 5 mila persone in età da lavoro. È stato chiesto loro con che frequenza assumevano analgesici; coloro che assumevano analgesici giornalmente avevano la più bassa variabilità della frequenza cardiaca mentre, al contrario, coloro che non ne assumevano mai avevano una variabilità della frequenza cardiaca più alta.

Inoltre è stato chiesto loro quanto spesso il dolore interferiva con il lavoro e, riguardo a ciò, è stato notato qualcosa di molto interessante e cioè che quando il dolore non influenzava per niente la loro attività era presente un’alta variabilità della frequenza cardiaca.

In sintesi:

  1. coloro che non stanno prendendo analgesici hanno il valore della variabilità della frequenza cardiaca più alto;
  2. seguono, come valore della variabilità della frequenza cardiaca più alto, le persone che prendevano analgesici solo all’occorrenza, quindi nei casi in cui il dolore è efficacemente trattato;
  3. il valore diminuiva poi nelle persone che avrebbero avuto necessità di prendere analgesici ma non ne assumevano;
  4. infine, il valore della variabilità della frequenza cardiaca più basso di tutti, è attribuibile alle persone che prendevano analgesici che non erano però risolutivi ed efficaci nel trattamento del loro dolore.

 

È quindi importante trattare il dolore nel modo corretto.

 

Concludendo, come dice Darwin ne L’origine delle specie, non è la specie più intelligente che sopravvive e non è nemmeno la più forte, ma è la specie che ha la capacità di adattarsi in base all’ambiente che muta continuamente.

La variabilità della frequenza cardiaca è l’indice di questa capacità di adattamento e, trattando i pazienti, è possibile osservare la variabilità della frequenza cardiaca per capire quale è il loro “stato di salute” e per capire quanto sono migliorati nel percorso di terapia.

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