Stress e sistema nervoso autonomo

Contributo originale a cura di Andrea Sgoifo, Professore associato di Fisiologia, Dipartimento di Neuroscienze Università di Parma

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Lo stress è una condizione del sistema nervoso centrale determinata da una serie di fattori ambientali più o meno avversi, interni o esterni all’organismo, che hanno la tendenza a turbarne l’equilibrio perfetto  (omeostasi) e questa condizione produce una serie di attivazioni comportamentali e fisiologiche allo scopo di ripristinare lo stato di teorico equilibrio. Ma lo stress non ha una accezione  sempre negativa, anzi è una risposta adattativa per la sopravvivenza, estremamente funzionale ed efficace. Che cos’è una risposta di stress? Per fare un esempio immaginiamo di camminare di sera in una strada della nostra città e di essere estremamente rilassati: se  sentiamo un rumore non familiare la nostra fisiologia si attiva in modo efficace, preciso e bene selezionato per cui il cuore accelera, la pressione aumenta, i vasi sanguigni del circolo muscolo-scheletrico si dilatano, altri distretti circolatori come la cute e i visceri vanno incontro a vasocostrizione, le pupille si dilatano e quindi la vista si acuisce, vi è liberazione in circolo di zucchero e acidi grassi liberi, la sudorazione aumenta. Queste risposte sono rapide ed efficaci (combattimento)  e sono consentite da due categorie di ormoni: le catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e i glucocorticoidi (cortisolo). In particolare adrenalina e cortisolo sono gli attori principali di questa risposta rapida ed efficace di stress. I due ormoni vengono da due assi neuroendocrini che sono l’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che produce cortisolo e l’asse simpatico-midollare del surrene che produce adrenalina e noradrenalina.

La risposta dello stress consta di due fasi: la fase di reazione immediata appena descritta  e la fase di disattivazione e cioè di spegnimento della risposta per evitare che i mediatori dell’adattamento determinino usura dell’organismo.

La risposta dello stress può avere una duplice natura: se è adeguata  quantitativamente e temporalmente  allora è un elemento di adattamento straordinario ma se la risposta è inadeguata  ed esagerata nella quantità e nel tempo, può diventare un cofattore molto significativo di patologia.  Ad esempio il cortisolo è un mediatore ormonale importante nella attività fisica, tuttavia se si trova a livelli cronicamente elevati e si associa ad uno stile di vita sedentario può diventare causa di iperglicemia, iperinsulinemia e della cascata di eventi cardio-vascolari conseguenti.  Il SNA è formato dalle due componenti, simpatica e parasimpatica: le variazioni della componente simpatica sono indicative di uno stato di attivazione fisiologica (fight or flight), mentre le variazioni del parasimpatico sono indicative di una condizione di rilassamento fisiologico (rest and digest). Gli organi bersaglio ricevono input da entrambe le componenti e la funzione degli organi è controllata dall’attività relativa di queste due componenti.

Julian Thayer (Ohio University) ha  scritto  in un articolo del 2009 che i processi emozionali e cognitivi che sono coinvolti nell’autoregolazione di un organismo e nel suo adattamento sono sostanzialmente controllati dallo stesso network neurale che regola le funzioni neurovegetative. Le risposte di tipo neurovegetativo precedentemente descritte fanno capo a centri strettamente connessi tra di loro  e che sono parzialmente gli stessi alla base della regolazione delle emozioni e degli stati cognitivi.  Inoltre sempre Thayer ha sottolineato l’importanza dell’inibizione necessaria per l’adattamento e per il funzionamento efficace dell’organismo in un ambiente mutevole e che  questa inibizione è  frutto dell’attività di un’area che è la corteccia prefrontale.

La stretta connessione tra cervello ed emozioni viene da lontano: Claude Bernard ricercatore francese del XIX secolo in una conferenza del 1867 alla Sorbona parlava già del vago come della componente autonoma nervosa cruciale in questo rapporto cervello-periferia.

Nel tronco dell’encefalo c’è un’area che ha la funzione di tenere sotto inibizione la funzione simpatica e favorire quella parasimpatica  ed è il nucleo del tratto solitario; quando tuttavia c’è una condizione emozionale, si attiva una struttura superiore che è l’amigdala, la quale, inibendo l’inibitore (cioè il nucleo del tratto solitario), attiva il simpatico e frena il parasimpatico. Ma c’è un ulteriore elemento di controllo superiore che  a sua volta inibisce l’amigdala ed è la corteccia prefrontale che tiene sotto controllo  l’eccesso di risposta dell’organismo. Quindi quando c’è una risposta di stress la corteccia prefrontale viene esclusa momentaneamente e temporaneamente  e questo consente una serie di comportamenti rapidi, non volontari, associati a strutture sottocorticali e cioè dipendenti dall’amigdala: ma l’inibizione è vitale per l’adattamento all’ambiente  perché se l’attivazione simpatica fosse senza controllo si andrebbe incontro al sovraccarico allostatico.

In condizioni psichiatriche o psicologiche particolari come l’ansia, la depressione, il disturbo post-traumatico da stress, la schizofrenia, si registra con imaging cerebrale una  ipoattività della corteccia prefrontale ed una  riduzione dell’HRV ( variabilità della frequenza cardiaca). In situazioni patologiche sia psicologiche che fisiche (diabete, patologia cardio-vascolare) un  elemento unificante e ricorrente è la riduzione della HRV che è strettamente associata  all’ipoattività della corteccia prefrontale e  quindi questo indice potrebbe essere un ottimo endofenotipo per spiegare la complessa integrazione tra processi fisiologici, processi comportamentali, emozionali e cognitivi.  La letteratura degli ultimi anni sembra indicare che la HRV può costituire un buon marker della gestione di questo network centrale più o meno efficace in condizioni ambientali avverse.

Quantificare la HRV vuol dire misurare in maniera indiretta  e non invasiva, tramite un ECG , il controllo che il SNA esercita sul cuore. Sappiamo che la frequenza cardiaca è tutt’altro che stabile (noi stiamo tanto meglio quanto più la frequenza cardiaca è variabile) e dipende da molti fattori come la respirazione, la regolazione della pressione e meccanismi di termoregolazione ed è condizionata naturalmente da fattori di stress sia di tipo fisico che di tipo emozionale. Per valutare la HRV si misura l’intervallo R-R  e si costruisce un tacogramma; gli indici che si utilizzano valutano come cambia la distanza tra battiti successivi nel breve termine cioè ad alta frequenza e quindi valutano l’attività parasimpatica: se l’indice aumenta significa che prevale la componente parasimpatica e viceversa se l’indice si riduce.

Nel modello animale siamo in grado di ricavare dati interessanti in situazioni di stress differenti; sistematicamente abbiamo notato che quando il parasimpatico è più compresso emergono le aritmie. Nelle situazioni di stress sociale (sconfitta sociale) gli animali hanno una incidenza di eventi aritmici significativamente superiore che in qualunque altra situazione.

Per fare un altro esempio, negli animali ad alti livelli d’ansia la componente vagale è compressa, la componente parasimpatica è ridotta e l’incidenza di aritmie negli animali ansiosi è significativamente maggiore che negli animali a bassi livelli d’ansia.

Un’altra situazione in cui si ritrova una ridotta HRV con una prevalenza simpatica ed una compressione vagale e quindi una mancanza di freno vagale è nei soggetti ad alta aggressività che presentano anche in questo caso  aritmie significative.

Sull’uomo ci sono studi condotti dal nostro gruppo che, rifacendosi ai modelli di integrazione neuroviscerale, vanno a valutare in situazioni di stress che tipo di fisiologia autonomica si instaura e quanto questa risposta autonomica è in relazione alla personalità dell’individuo e alle sue strategie di coping.

I risultati che abbiamo ottenuto ci dicono che i soggetti più sottomessi  erano più tachicardici e più vagocompressi  sia durante il test-stress che nelle fasi di recupero; i soggetti che esibivano più comportamenti di displacement (ridirezionamento dell’ansia) durante la situazione di stress, presentavano un grado di tachicardia e soppressione vagale più moderata nella fase successiva allo stress e quindi, evidentemente, le strategie utilizzate controllano meglio l’ansia, hanno un effetto più fisiologico, rendono meno evidente la compressione vagale e quindi sono adattative.

Misurare quindi la HRV può consentire di avere informazioni significative su quanto l’individuo è in grado di esercitare flessibilità comportamentale quando sollecitato dall’ambiente e quanto questo individuo sia più resiliente dal punto di vista fisiologico e più protetto da eventuali conseguenze fisiopatologiche.

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