Struttura e funzione nel SNC: il concetto di area corticale

a cura di Stefano Rozzi – Scarica l’articolo in formato pdf

 

L’argomento è affrontato partendo dalla relazione struttura-funzione nel S.N.C., con particolare riferimento all’area corticale. La presentazione si avvale di una serie di esempi che comprovano come esista uno stretto rapporto biunivoco fra la struttura e la funzione, quindi come la struttura condizioni la funzione ma anche il contrario.

La relazione struttura/funzione la si può ritrovare nei sistemi e nei tessuti fino a giungere a livello molecolare. In alcuni casi, come vedremo, una struttura unica sottende funzioni diverse e questo ci permetterà di capire come il rapporto struttura/funzione non sia immutabile, cioè determinato dall’inizio e sempre valido, ma al contrario risulta essere una relazione di tipo “dinamico”.

Questo concetto è importante soprattutto per chi lavora con i pazienti e la clinica, perché costringe a ripensare al concetto di equilibrio e di riequilibrio.

Vedremo come tutto questo non dipende dalla struttura o dalla funzione in sé, ma dall’ambito più ampio in cui essa è inserita.

Still sosteneva: “l’anatomia è importante solo se la posso applicare”.Con questa frase egli stava dando centralità all’aspetto anatomico per creare una nuova teoria sulla patologia e sulla guarigione.

Come mai centrarsi sull’anatomia ai tempi di Still? cosa spingeva un medico americano a cercare qualcosa di diverso?

A fine ‘800 dal punto di vista medico grandi scoperte si stavano facendo nel campo dell’immunologia e delle neuroscienze, ma poco si stava muovendo sul lato pratico. I medici americani si trovarono ad affrontare la richiesta di cure e benessere da parte di una popolazione notoriamente pragmatica, la richiesta sociale di un miglioramento della medicina era molto forte.

L’intento di Still è stato quello di costruire un approccio medico nuovo basato su quello che già si conosceva, quindi le scienze di base, ponendo la centralità sull’aspetto anatomico e quindi strutturale, creando una nuova disciplina che mettesse al centro l’uomo e la sua salute.

Per questo la gran parte del lavoro osteopatico inizialmente è basato proprio sull’analisi della struttura corporea, quindi articolazioni, ossa, connettivi  ecc.

Ed è proprio partendo dal sistema osteo-muscolare che andiamo ad analizzare gli aspetti che comprovano il rapporto struttura-funzione. Sappiamo che esistono diversi tipi di muscoli con struttura diversa: fusiformi e pennati. Per ragioni anatomo-funzionali i muscoli fusiformi sono caratterizzati da un maggior velocità di contrazione mentre i pennati da un maggior forza di contrazione.Quindi due strutture diverse sottendono ad una stessa funzione generale, perché entrambi contraendosi permettono l’avvicinamento di due capi ossei, ma con funzioni leggermente modificate.

Su una singola articolazione lavorano sinergicamente più muscoli fusiformi o pennati che, avendo differenti angoli di lavoro ottimali, permettono di ottimizzare la funzione generale. Questo è un esempio di come strutture parzialmente diverse concorrono alla stessa funzione.

Scendendo di livello, sappiamo che la capacità contrattile di un muscolo è data da particolari proteine, actina e miosina, i cui filamenti costituiscono le miofibrille. Esse sono organizzate in singole fibre muscolari le quali sono separate fra loro da una membrana connettivale chiamata endomisio. Diverse fibre muscolari formano il fascicolo muscolare, avvolto anch’esso da una membrana connettivale chiamata perimisio. Tanti fascicoli muscolari costituiscono il muscolo intero che a sua volta è inguainato dall’epimisio, sempre della stessa struttura connettivale degli altri due.

Il perimisio continua nella struttura del tendine permettendo l’ancoraggio del muscolo all’osso. Perimisio, endomisio ed epimisio sono la stessa struttura connettivale e sono in continuità anatomica. Questo particolare anatomico ha un significato funzionale molto importante perché spiega come per il muscolo non sia importante solo l’unità contrattile, ma anche le strutture di connettivo che gli conferiscono doti di elasticità e resistenza, e che soprattutto permettono la trasmissione di una forza che nasce a livello molecolare sino a giungere a livello del tendine e quindi a livello del capo articolare.

Inoltre esiste anche un collegamento diretto fra le proteine contrattili della fibra muscolare (actina e miosina) ed endomisio. Esso è stato ampiamente studiato ed è attribuibile ad alcune proteine (fra cui le proteine della famiglia delle distrofine e delle laminine) ancorate fra le linee Z, di pertinenza del sarcomero fino alle strutture connettivali.

Scendendo ulteriormente di livello, quindi arrivando a livello cellulare, sappiamo come il muscolo si attivi partendo da un segnale elettrico del sistema nervoso, che inducendo modificazioni biochimiche ne provoca la contrazione. Sappiamo inoltre che le differenze di potenziale si distribuiscono seguendo le membrane cellulari senza mai entrare dentro la cellula. Quindi, come fa questo segnale elettrico a giungere all’interno della cellula permettendone la sua attivazione? Anche in questo caso la struttura risulta cruciale per permettere la funzione. Infatti la membrana delle cellule muscolari è caratterizzata dalla presenza di profondissime invaginazioni (tubuli T) attraverso le quali il segnale riesce a raggiungere la cellula  muscolare stessa.

Questa continuità anatomo-funzionale prosegue a livello ancora più microscopico. La contrazione muscolare avviene attraverso lo scivolamento dei filamenti proteici di actina e di miosina. Ogni filamento di miosina è circondato da un esagono di 6 filamenti di actina. I filamenti di actina e miosina sono collegati fra loro con dei ponti trasversali, che non sono mai sincroni gli uni con gli altri. Questo particolare della non sincronicità è fondamentale perché permette, durante la contrazione muscolare, che le forze elastiche delle strutture non abbiano il sopravvento sulla contrazione stessa e quindi non ne venga vanificata la funzione.

Fino a questo punto abbiamo suffragato l’ipotesi che la struttura sia fondamentale per la costruzione della funzione. Se si analizza la miosina, si può osservare che presenta delle catene leggere e pesanti, quest’ultime rappresentate da braccetti che consumando ATP, cambiano la loro struttura flettendosi ed estendendosi e quindi in un certo senso “camminano” sul binario rappresentato dall’actina, favorendone l’avvicinamento. Una struttura simile la si ritrova a livello del neurone, e viene utilizzata per il trasporto di sostanze dal centro della cellula alla periferia e viceversa. Quindi, la stessa struttura può avere ruoli diversi a seconda del contesto in cui si trova: nel muscolo questa proteina permette l’accorciamento meccanico, nel neurone la stessa proteina mobilizza sostanze a livello intracellulare. Queste vengono definite “macchine molecolari naturali”.

Jacques Monod, premio Nobel negli anni ’70 per le sue scoperte genetiche, fondò il termine di teleonomia quale “finalismo insito nelle strutture e nelle forme tipichedegli organismi viventi dovuto all’azione della selezione naturale, che favorisce le strutture e le funzioni adatte allo svolgimento delle attività vitali ed elimina quelle inadeguate”.

Egli ipotizza che sia insito nella struttura stessa delle molecole biologiche un finalismo intrinseco (teleonomia) che è tipico delle strutture viventi e che è in grado di autorganizzarsi. Quindi per selezione naturale permangono solo quelle strutture che hanno una forma che porta un vantaggio, mentre le altre vengono dismesse e non trasmesse alla generazione successiva.

Rimanendo a livello molecolare, se è vero che una struttura ha una particolare funzione, ci aspettiamo però che una sua modificazione porti ad un cambiamento, almeno in parte, delle funzioni che sottende. A tal proposito portiamo ad esempio la mioglobina e l’emoglobina. Esse sono strutturalmente simili, entrambe hanno un gruppo eme contenente ferro allo stato ferroso che ha la funzione di legare in modo reversibile l’ossigeno per prenderlo dove ce n’è tanto e cederlo dove ce n’è poco. Però, mentre la mioglobina ha una sola struttura proteica, l’emoglobina è costituita da quattro strutture proteiche e questo si riflette sulla funzione: infatti, per questo particolare, l’emoglobina risulta molto più difficile da saturare rispetto alla mioglobina. La mioglobina presente nel muscolorisulta quindi molto più “avida” di ossigeno.

Una cosa completamente opposta avviene nel caso della clorofilla. Il gruppo prostetico è strutturalmente identico a quello dell’emoglobina, tranne per il fatto che anziché contenere ferro contiene magnesio. Questo piccolo particolare cambia completamente la funzione. Quindi non è importante solo la struttura di per sé, ma la struttura nel suo contesto.

Altro esempio è quella della pleura e del peritoneo che dal punto di vista istologico sono epiteli simili, ma con funzioni molto diverse.

Passando al S.N.C., a livello della corteccia cerebrale esiste un’organizzazione in aree morfologicamente diverse perché le cellule che le costituiscono sono organizzate architettonicamente in modo differente. Queste differenze strutturali corrispondono anche a funzioni diverse, tanto è vero che lesioni di un’area rispetto a un’altra portanoad effetti profondamente diversi. Al contrario,la corteccia cerebellare è architettonicamente omogenea, ma lesioni della corteccia cerebellare di aree diverse portano a effetti diversi, quindi evidentemente svolgono funzioni diverse. Probabilmente questo paradosso è causato dalle differenti afferenze che arrivano nelle varie aree cerebellari e che determinano funzioni diverse.

Gerald Edelman, padre della immunologia moderna, sosteneva che la  cosa più importante del nostro sistema nervoso centrale è la sua anatomia e questa frase assomiglia a quanto sosteneva Still. Edelman sosteneva inoltre che la modalità secondo cui i neuroni si strutturano e funzionano per gruppi è sempre epigenetica e mai per istruzioni del genoma:quindi possiamo affermare che  non è mai la pura genetica che determina come i neuroni si raggruppino e di conseguenza la funzione che vengono a svolgere. Da qui si evince non solo come la struttura determini la funzione ma come la funzione modifichi la struttura stessa.

Questo aspetto complica la localizzazione delle funzioni a livello del sistema nervoso centrale. Le informazioni vengono processate a livello midollare in maniera molto precisa e con un buon livello di organizzazione che si mantiene sia nel talamo che nella corteccia cerebrale somatosensoriale primaria. Questa organizzazione somatotopica non è fissa ed immutabile.

In un classico esperimento hanno addestrato una scimmia a girare un disco sempre con tre dita registrando i campi recettivi della corteccia somatica correlata. Inizialmente tale regione era piccola ma dopo qualche giorno di esercizio questa area si era notevolmente estesa. Questo testimonia che non è la struttura che determina la funzione in maniera unidirezionale, ma che la funzione modifica la struttura.

Stessa cosa anche a livello muscolare. Abbiamo infatti delle fibre muscolari lente e veloci. La loro differenziazione a livello embrionale dipende esclusivamente dalla frequenza di scarica con cui i neuroni la guidano. Se la scarica avviene ad alta frequenza essa diventa fibra bianca al contrario fibra rossa.

Lo stesso fenomeno è quello della plasticità. In un paziente amputato di arto superiore la regione somatotopica si modifica. In parte viene riciclata per codificare l’area della bocca e della faccia in parte rimane “ancorata” alla sua idea di mano. Toccando ad esempio la faccia, avrà delle sensazioni riferibili all’arto che non ha più (arto fantasma).

Interessante è il caso clinico di un paziente operato da sveglio per tumore in area motoria primaria. Il tumore non ha distrutto la funzione, infatti il paziente lamentava sintomi da aumentata pressione endocranica, ma non da perdita di funzioni. Attraverso l’indagine elettrofisiologica intraoperatoria è stato possibile notare che la rappresentazione somatotopica era stata dislocata più anteriormente e ventralmente. Dal punto di vista clinico conoscere questo aspetto è importante perché rende possibile l’asportazione dell’area tumorale senza compromettere le funzioni. In questo caso decidere di asportare il tumore è proprio relativo all’esito di questa valutazione funzionale. Occorre essere certi che la funzione sia garantita e che le aree si siano adattate, ma al tempo stesso non aspettare oltre questo adattamento per non compromettere le funzioni stesse in caso di crescita del tumore che provocherebbe una pressione eccessiva con probabile ripercussione sulla funzione.

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