Gli effetti dell’osteopatia in ambito craniale sulla funzione visiva. Uno studio pilota

osteopatia craniale

Mark E. Sandhouse, DO; Diana Shechtman, OD; Richard Sorkin, OD; Joanna Lauren Drowos, DO, MPH; Alberto J. Caban-Martinez, MPH, OMS III; Michael M. Patterson, PhD; Josephine Shallo-Hoffmann, PhD; Patrick Hardigan, PhD; and Arthur Snyder, DO

Articolo originale in inglese pubblicato in The Journal of the American Osteopathic Association, April 2010, Vol. 110, pag. 239-243. Link all’articolo originale: http://jaoa.org/article.aspx?articleid=2093951

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Vi sono numerosi studi che hanno descritto gli effetti dell’osteopatia craniale sulla pressione intraoculare, sul miglioramento del campo visivo e sullo strabismo degli occhi ma, a parte casi di deficit della percezione visiva o di trauma cranico chiuso, pochi hanno studiato i cambiamenti della funzione visiva in seguito all’applicazione dell’osteopatia craniale.
In questo studio pilota valutiamo se si verifichi o meno un cambiamento immediato e misurabile della funzione visiva in un piccolo gruppo di adulti in seguito a una singola seduta di osteopatia craniale.

Metodi
Partecipanti
I soggetti ammessi allo studio corrispondevano ai seguenti criteri:
1. difetto refrattivo con valori compresi tra sei diottrie di miopia e cinque diottrie di ipermetropia con astigmatismo regolare;
2. massima acutezza visiva corretta a 20/40 o più;
3. età compresa fra i 18 e i 35 anni;
4. assenza di malattia oculare o sistemica attiva;
5. nessun precedente di trauma cranico chiuso o di lesione
cerebrale;
6. nessun trattamento precedente di osteopatia craniale;
7. assenza di stato di gravidanza al momento dello studio.

Randomizzazione e interventi
Tutti i soggetti sono stati valutati per identificare schemi di strain della sincondrosi sfenobasilare. Successivamente i partecipanti sono stati assegnati casualmente al gruppo di trattamento o a quello di controllo mediante l’utilizzo di una tabella di randomizzazione generata con il software Microsoft Office Excel 2003 (Microsoft Corp, Redmond, Washington).
I soggetti ignoravano il gruppo a cui erano stati assegnati.
I partecipanti di entrambi i gruppi sono poi stati sottoposti a un esame optometrico iniziale che includeva i seguenti test:

Test di massima acutezza visiva da lontano – Determina l’abilità del soggetto di distinguere piccoli dettagli da lontano.
È stata utilizzata una tabella ottotipica impiegata dal Early Treatment of Diabetic Retinopathy Study (ETDRS). Al soggetto è stato richiesto di leggere le lettere sulla tabella a occhi alternati. Il partecipante ha letto dall’alto al basso fino a raggiungere la riga dove non era più in grado di leggere almeno 3 lettere. La valutazione veniva assegnata in base al numero di lettere che il soggetto era stato in grado di leggere correttamente (su un totale di 70 lettere).

Test del push-up di Donder (sistema accomodativo) – Determina l’abilità del soggetto di fissare gli oggetti vicini. La valutazione consisteva in un test dell’ampiezza accomodativa con l’utilizzo della scheda push up di Donder. Al soggetto è stato richiesto di leggere una piccola lettera (o un numero) su una scheda con un occhio mentre l’altro veniva coperto.
La scheda veniva spostata sempre più vicino al soggetto finché non si raggiungeva il primo punto sfocato persistente. L’ampiezza accomodativa (in diottrie) è stata registrata come il reciproco della distanza (espressa in metri) tra la scheda e il soggetto al raggiungimento del primo sfocamento persistente.

Test locale di stereoacuità – Determina l’abilità del soggetto di percepire la profondità. È stato utilizzato uno stereotest a punti random con la tabella del test posizionata a 40 cm dal paziente. Questo test può identificare la minima distanza necessaria tra i punti affinché il soggetto sia in grado di percepire la profondità. Al partecipante è stato richiesto di indossare occhiali polarizzati e di identificare le forme contenute nell’opuscolo. Il test ha continuato finché il soggetto non ha commesso due errori di seguito. L’ultima risposta corretta è stata registrata come la stereopsi locale del soggetto espressa in secondi di arco.
Il presente test è in grado di misurare la stereoacuità fino 20 secondi di arco (la valutazione della stereoacuità globale è stata eseguita soltanto alla prima visita per assicurarsi che il soggetto corrispondesse ai criteri di inclusione).

Test di misurazione della pupilla – Fornisce informazioni riguardanti il sistema neurologico. La misurazione della pupilla in condizioni di luce intensa è stato eseguito con le luci del soffitto accese e una lampada da terra posizionata dietro il soggetto. Al paziente è stato richiesto di fissare un punto lontano. La dimensione di ogni pupilla è stata misurata mediante una scala pupillare di forma emisferica posizionandola sul viso del paziente e spostando l’indicatore fino a quando il semicerchio sotto l’occhio non è diventato della stessa dimensione della pupilla da misurare. La misurazione in condizioni di luce fioca è stata eseguita con lo stesso metodo spegnendo le luci del soffitto e mantenendo la lampada da terra alle spalle del soggetto come retroilluminazione.

  Retinoscopia – Valuta la prescrizione oculistica del soggetto. Al soggetto è stato richiesto di guardare una mira di fissazione lontana. Un fascio di luce è stato indirizzato nell’occhio del partecipante. Successivamente sono state utilizzate delle lenti per cambiare l’aspetto del riflesso fino a quando l’esaminatore non ha potuto osservare un lampo di luce intensa. Dopo aver compensato la distanza di lavoro dell’esaminatore è stata fatta la prescrizione.
Questa procedura è stata eseguita soltanto durante la prima visita per assicurarsi che il soggetto risultasse idoneo per la ricerca e per verificare se la prescrizione oculistica presente fosse appropriata allo studio.

  Test sistema di vergenza – Determina l’abilità del soggetto di utilizzare entrambi gli occhi (fusione).
Sono stati usati i seguenti test:
    Cover test con neutralizzazione prismatica (CT near) – Misurazione obiettiva dell’allineamento degli occhi. Per primo è stato eseguito il cover test unilaterale posizionando la paletta occlusoria sull’occhio sinistro e osservando il comportamento dell’occhio destro. In presenza di movimento il soggetto era considerato affetto da strabismo ed escluso dallo studio. Successivamente è stato eseguito il cover test alternato posizionando la paletta occlusoria sull’occhio sinistro e aspettando il tempo necessario per rompere la fusione. Dopo di che la paletta occlusoria veniva velocemente riposizionata sull’altro occhio senza lasciare al soggetto tempo di ripristinare la fusione.
Se si osservava del movimento al paziente veniva diagnosticata la foria. La portata di questa deviazione è stata misurata mediante prisma durante il cover test alternato. Si è proceduto quindi con scelta del prisma appropriato posizionandolo davanti all’occhio del soggetto fino a quando non sussisteva più alcun movimento. Successivamente è stato aggiunto un altro prisma fino a che non si è ottenuto un cambio di direzione del movimento.
Il punto medio dell’intervallo prismatico in cui non si osservava alcun movimento è stato registrato come valore del test.

   Punto prossimo di convergenza (NPC) – Misurazione soggettiva della capacità massima di incrociare gli occhi (convergenza) su un oggetto ravvicinato. Al soggetto è stato richiesto di fissare una piccola lettera mentre questa veniva avvicinata verso di lei/lui. La lettera è stata quindi lentamente avvicinata al paziente fino a quando non si è verificata la visione doppia, non è stata osservata la deviazione di un occhio o la lettera non ha raggiunto il naso del paziente. La distanza (in centimetri) è stata registrata come punto di rottura del NPC.
In seguito la lettera è stata allontanata dal paziente fino al rispristino della visione singola o fino a quando gli occhi del soggetto non sono stati in grado di fissare nuovamente l’oggetto. La distanza (in centimetri) è stata registrata come punto di recupero del NPC.

I soggetti affetti da strabismo o da errore refrattivo che non corrispondevano ai criteri richiesti sono stati esclusi dal presente studio. Inoltre sono stati esclusi anche i partecipanti che non presentavano una disfunzione somatica craniale.
Ogni soggetto del gruppo di trattamento è stato sottoposto a una singola seduta di osteopatia craniale per correggere la disfunzione craniale. La tecnica OMT specifica utilizzata è stata la tecnica di bilanciamento della tensione membranosa, ovvero l’applicazione di una leggera esagerazione delle disfunzioni fino a un punto di bilanciamento membranoso e il mantenimento di questo punto fino al rilascio del tessuto.
Ogni soggetto del gruppo di controllo è stato sottoposto a una sessione placebo di terapia che prevedeva l’applicazione di una leggera pressione sul cranio senza l’esecuzione di OMT. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti alla seduta in posizione supina sul lettino di trattamento per circa 5 minuti.
In seguito al protocollo di trattamento e a quello placebo i soggetti sono stati nuovamente esaminati per valutare la presenza di disfunzioni craniali e successivamente sono stati sottoposti anche all’esame optometrico.
Il medico osteopata che ha valutato l’asimmetria craniale dei soggetti non era a conoscenza delle conclusioni optometriche e gli optometristi non conoscevano i risultati della valutazione craniale e il gruppo di assegnazione dei soggetti.

Analisi statistica
Sono state calcolate statistiche descrittive, utilizzando il software statistico SPSS (Statistical Package for Social Science, versione 15.0 per Windows; SPSS Inc, Chicago, Illinois), per tutte le variabili dello studio. È stato eseguito un test-t per dati appaiati per valutare la parità delle medie in termini di età dei partecipanti, sia per il gruppo trattato che per quello di controllo. È stata effettuata un’analisi della variazione (ANOVA) a due fattori (misurazioni ripetute) per i dati di ogni variabile misurata (α=.05).

Risultati
Il presente studio pilota è stato completato da ventinove soggetti: 15 nel gruppo di trattamento e 14 nel gruppo di controllo. L’età media (SD standard deviation, ovvero deviazione standard) dei soggetti era di 24,38 anni. Venticinque soggetti (86%) erano di sesso femminile. Non era presente alcuna differenza statisticamente rilevante per età o genere nella distribuzione tra il gruppo di trattamento e quello di controllo. Le deviazioni medie e standard per ogni variabile misurata hanno mostrato differenze statisticamente rilevanti sia nel gruppo di trattamento che in quello di controllo rispetto ai principali effetti prima e dopo l’intervento. Le differenze riguardavano l’acutezza visiva da lontano dell’occhio destro (OD) e dell’occhio sinistro (OS), la stereoacuità locale, la dimensione della pupilla in condizioni di luce fioca di entrambi gli occhi e il punto di recupero e di rottura del NPC . Inoltre una differenza statisticamente rilevante è stata osservata negli effetti prima e dopo l’intervento del gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo nella dimensione della pupilla destra in condizioni di illuminazione forte (P<.05).

Commento
I risultati del presente studio pilota hanno individuato un interessante effetto dell’osteopatia in ambito craniale: i soggetti che hanno ricevuto OMT hanno mostrato un aumento della dimensione della pupilla dell’occhio destro in condizioni di luce forte, mentre quelli sottoposti a trattamento placebo hanno mostrato una diminuzione della dimensione della pupilla dell’occhio destro dopo l’intervento.
I partecipanti di entrambi i gruppi hanno mostrato un aumento dell’acutezza visiva da lontano: dopo l’intervento ogni occhio era in grado di leggere più lettere sulla tabella Early Treatment of Diabetic Retinopathy Study (ETDRS) rispetto a prima. Inoltre tutti i soggetti hanno mostrato una diminuzione della dimensione della pupilla in condizioni di luce fioca in entrambi gli occhi. Tutti i partecipanti dopo l’intervento presentavano le seguenti variazioni: diminuzione della stereoacuità locale espressa in secondi di arco, punto di rottura alterato del NPC indicato da un aumento della distanza dalla mira alla prima indicazione di visione doppia, miglioramento del punto di recupero del NPC indicato da un aumento della distanza dalla mira alla prima indicazione di visione singola.
Anche se questi risultati sono soltanto indicativi a causa delle ridotte dimensioni del campione (N=29), indicano comunque i potenziali effetti di una singola seduta di osteopatia in ambito craniale sulla funzione visiva. Inoltre il fatto che siano stati rilevati effetti funzionali successivi all’intervento sia nel gruppo di trattamento che in quello di controllo implica che anche un singolo intervento craniale – indifferentemente dalla tipologia – può influenzare la funzione visiva.
È altamente probabile che questi effetti funzionali scompaiano rapidamente in seguito a trattamenti placebo ripetuti ma che invece rimangano intatti dopo OMT ripetuti. È altresì possibile che alcuni effetti sistematici del protocollo adottato, come la semplice osservazione del cranio del soggetto, possano aver causato i cambiamenti rilevati. Due potenziali dinamiche funzionali a questi cambiamenti sono le alterazioni nella forma degli occhi che influenzano la lunghezza assiale e le alterazioni dell’innervazione autonoma degli occhi.
La prima potenziale dinamica riguarda i muscoli extraoculari che si connettono sia al globo oculare che alle ossa dell’orbita e la maggioranza di essi si collega direttamente o indirettamente (attraverso un anello tendineo) all’osso sfenoide. Pertanto è logico affermare che se le ossa connesse con i muscoli extraoculari cambiassero posizione (in seguito alla manipolazione craniale), il globo oculare cambierebbe la sua forma alterando così la lunghezza assiale e la mobilità extraoculare.
Nel presente studio l’acutezza visiva da lontano, la stereoacuità locale e i punti di rottura e recupero del NPC erano variabili influenzate dai cambiamenti della lunghezza assiale e della mobilità extraoculare, entrambi questi fattori hanno presentato alterazioni significative sia nel gruppo di trattamento che nel gruppo di controllo.
La seconda dinamica riguarda l’innervazione parasimpatica dell’occhio che attraversa la fessura obliqua superiore dell’osso sfenoide per giungere sia al nervo oculomotore che al ramo oftalmico del nervo trigemino. La manipolazione dell’osso sfenoide finalizzata a rilasciare le restrizioni ossee o fasciali che gravano su questi nervi potrebbe ripristinare la funzione dell’innervazione autonoma degli occhi diminuendo l’attività afferente dei nervi.
L’innervazione simpatica e parasimpatica degli occhi controlla la costrizione e la dilatazione della pupilla come anche la regolazione del cristallino in funzione dell’accomodazione. Secondo Pottenger «quando l’eccitabilità delle cellule motorie nel nervo oculomotore è molto alta, ciò può portare a uno spasmo accomodativo». Le variabili influenzate dai cambiamenti nell’innervazione autonoma che mostrano variazioni statisticamente più significative nei gruppi dello studio sono state la stereoacuità locale, la dimensione della pupilla in condizioni di luce fioca e i punti di rottura e ripresa del NPC.
L’unica variabile che ha presentato un’alterazione statisticamente rilevante tra il gruppo di trattamento e quello di controllo è stata la dimensione della pupilla dell’occhio destro in condizioni di luce intensa. Il meccanismo di tale risultato appare ancora poco chiaro.

Conclusione
Alcune variabili del presente studio hanno mostrato effetti post intervento statisticamente più rilevanti sia nel gruppo di trattamento che in quello di controllo. In seguito all’intervento la dimensione della pupilla dell’occhio destro in condizioni di luce intensa ha presentato un effetto statisticamente importante nel gruppo trattato rispetto a quello sottoposto a placebo. Sono necessarie ulteriori indagini su un campione più numeroso e in un periodo più prolungato per esplorare gli effetti osservati nel presente studio, esaminare l’impatto di trattamenti aggiuntivi di osteopatia in ambito craniale e accertarne la durata quando l’intervento è stato finalizzato.

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