La fisiologia moderna fra riduzionismo e olismo: metodi per uno studio integrato del sistema nervoso

Stefano Rozzi

di  Stefano Rozzi , PhD*

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Definiamo olismo l’idea che l’intero sia qualcosa di più delle parti, l’uomo è qualcosa di più della somma delle sue cellule, e  riduzionismo l’idea che l’intero può essere compreso quando si capiscono le sue parti e la natura della loro somma, della loro interazione. Tradizionalmente si pensa che la scienza si schieri in ambito riduzionistico mentre una visione più generale più filosofica sia di tipo olistico. 

Ora, venendo dalle neuroscienze cognitive, questo concetto costituisce un problema ancora maggiore perché quando si studiano le funzioni cognitive, mentali, insorge un problema: è possibile localizzare una funzione a livello cerebrale? Dalla letteratura troviamo atteggiamenti storicamente opposti. 

Ci sono posizioni riduzionistiche spinte che si traducono in “esistono delle aree del cervello che sottendono ad una certa funzione” (c’è l’area del linguaggio, c’è l’area del movimento-Ferrier, Gall) a posizioni del tipo opposto come Anokhin, della tradizione sovietica post-pavloviana, per le quali “la funzione respiratoria non è nei polmoni perché è vero che i polmoni sono fondamentali per respirare ma da soli senza un cuore che pompa, senza un sistema circolatorio, un sistema nervoso che fa contrarre i muscoli, i muscoli che muovono la gabbia toracica, l’aria esterna, il consumo delle cellule, non potrebbe avvenire e non avrebbe senso”. Un discorso olistico che porta alla fine del novecento gran parte delle neuroscienze a circuiti diffusi, totipotenti; tutte le regioni possono fare tutte le cose. 

Allora qual è il modo migliore per studiare le funzioni cerebrali?

Faccio un esempio musicale. Se devo registrare un’attività di un’orchestra, posso avere diversi atteggiamenti: 

  • posso porre due tre microfoni per la stereofonia al di sopra di tutta l’orchestra e captare il suono come un magma olistico che emerge
  • posso porre microfoni specifici davanti ai vari settori dell’orchestra, come primi, secondi violini, fagotti, corni etc
  • posso piazzare un microfono su ogni singolo strumento

Tutti questi sono buoni atteggiamenti per una registrazione che ci permettono di riprodurre quello che abbiamo registrato in maniera abbastanza efficace. 

Così come nella grafia di Igor Stravinskij, “La sagra della primavera” (1913), c’è un violino che non suona nella prima pagina, anche un neurone, come un violino, non è importante solo quando parla, ma anche quando suona una pausa, per cui ricordiamo che una funzione non è solo qualcosa di positivo, produttivo, ma anche un’assenza, una mancanza di produzione di qualcosa .

Uscendo dalla metafora musicale, possiamo interpretare i diversi atteggiamenti descritti sopra: 

  • la registrazione dell’orchestra nella sua interezza rappresenta una registrazione del network cerebrale nella sua estensione la quale ci può dire qualcosa delle sue funzioni più complesse, come il comportamento e il pensiero astratto, che sono tradizionalmente ambiti della psicologia e delle neuroscienze cognitive 
  • registrare le singole sezioni dell’orchestra equivale a registrare l’attività di aree o di gruppi di aree, di network, di entità più limitate, e questo ci permette di scendere al livello di funzioni intese come singole componenti del comportamento come la percezione, la memoria, la programmazione motoria 
  • registrare i singoli strumenti significa captare la melodia dei singoli neuroni o piccole aree neuronali, che parlano un linguaggio diverso, segnali elettrici, che è appannaggio delle scienze biologiche

Quindi il problema olismo-riduzionismo è ozioso perché non implicito nella natura, ma è la nostra modalità di porci di fronte a ciò che stiamo osservando perciò è il nostro modo di studiare i fenomeni della natura. Gli stessi oggetti di studio possono essere analizzati con un approccio più olistico o più riduzionistico. 

Se andiamo a vedere le tecniche di studio nella disciplina delle neuroscienze dei sistemi possiamo trovare varie tecniche. 

EEG, brain imaging, studi comportamentali ci permettono di valutare il livello più alto di questa complessità; studi di stereo-EEG, alcuni aspetti particolari di brain imaging ci permettono di identificare sottoporzioni di questo sistema; lo studio dei singoli neuroni, l’optogenetica, l’interazione con i fotoni, la biologia molecolare ci permettono di studiare il singolo neurone. 

Questi tipi di studi, con le stesse tecniche, possono essere declinati in vari modi ed io parlerò brevemente della stimolazione elettrica, della registrazione dei potenziali, cioè fornire e registrare correnti, per poi tirare le fila del discorso verso l’osteopatia. 

Il primo a dimostrare che il sistema nervoso parla un linguaggio elettrico è stato Galvani, quando, per errore, è stata posta la punta di un bisturi su un muscolo di una rana dissecata che era collegata a una batteria e questa ha creato contrazioni: da lì è nata l’idea che fornendo una corrente elettrica si possa stimolare un corpo. Ai tempi, l’idea che si parlasse di segnali elettrici era un’eresia come oggi pensare che stimoli vibrazionali possano portare a delle modificazioni cellulari come ci ha mostrato il Professor Ventura. Ora, è diventato un messaggio assolutamente digeribile. 

Dalla prima fase di nascita della disciplina neuroscientifica, fino a metà del secolo scorso, sono stati fatti prevalentemente studi atti a fornire una corrente elettrica al tessuto nervoso interferendo con la sua corrente normale e inducendone un’attivazione con conseguente risposta dei neuroni; questa ha prodotto le prime mappe corticali, cioè le prime forme di localizzazione delle funzioni. 

Da allora sono stati proposti numerosi studi su varie specie ed è stata identificata in tutte le specie una rappresentazione del sistema motorio e questo da subito ha sollevato la questione di cosa sia rappresentato: sono rappresentati i muscoli? Già i primi autori come Penfield e Woolsey, erano estremamente scettici sulla rappresentazione muscolare. 

Ricordiamo che la tecnologia può portare a delle innovazioni dal punto di vista dei concetti che si vanno a scoprire e quindi si è passati da una stimolazione con macroelettrodi di superficie, che attiva regioni piuttosto vaste, a microelettrodi di vari metalli isolati di diametro di 100 micron quindi molto grossi rispetto al neurone ma molto piccoli rispetto alle pinze di Osheman (con le quali, ancora oggi, i neurochirurghi stimolano il cervello), riuscendo  ad evocare l’eccitazione di una regione piccola, dall’ordine di cm3 all’ordine di µm3. Si è passati da una situazione più olistica a una riduzionistica in un certo senso. Cosa ha portato a scoprire? 

La mappa di Woosley del 1952 che dimostra una somatotopia generale è, proseguendo con la nostra metafora, la fila dei singoli strumenti musicali della nostra orchestra, mentre la revisione prodotta da Dum e Strick nel 1991, trasponibile alla mappa dei singoli strumenti musicali dimostra che la somatotopia generale è vera ma trova anche che la mano è rappresentata più e più volte in maniera diversa, così come bocca e braccio. Questo non ha alcun senso se pensiamo a una rappresentazione dei muscoli e non sta nemmeno in piedi la spiegazione che questa ridondanza abbia un significato da un punto di vista difensivo come in seguito ad una lesione perché sono regioni troppo piccole che non hanno una diversificazione vascolare quindi l’unica spiegazione è che ci sia un disegno funzionale sotto molto più raffinato. 

Facendo un passo avanti, gli studi di tracciatura di neuroni attraverso iniezione di traccianti nel midollo spinale, captati e trasportati dalle vie di competenza hanno visto che la regione di rappresentazione motoria è coestensiva alle proiezioni cortico-discendenti dalla corteccia verso il midollo spinale. Questo ci dice quindi che quando mettiamo corrente elettrica lì, attiviamo circuiti cortico-discendenti e cortico-corticali locali. I circuiti cortico-corticali hanno delle ramificazioni laterali per cui colonne adiacenti sono connesse tra loro e, più ci si allontana, minori sono le connessioni ma hanno anche diramazioni discendenti che vanno verso il midollo, hanno cioè dei branching a livelli midollari metamerici diversi e all’interno dello stesso livello metamerico, nel corno anteriore, su gruppi motoneuronali diversi. Questa è la dimostrazione che a livello corticale non abbiamo una rappresentazione dei muscoli bensì dei movimenti. I motoneuroni implicati, infatti, sono sempre coinvolti nella guida di muscoli agonistici per uno stesso tipo di movimento.

Schieber nel 2001 su Neurophysiology, riprendendo studi di stimolazione elettrica di Kvan propone che l’organizzazione sia funzionale a una facilità di esecuzione: “se si volesse eseguire un accordo su una tastiera di pianoforte standard che richiede note ad ottave diverse non ci basterebbero quattro mani per eseguirli” mentre nel nostro cervello troviamo che uno stesso movimento è rappresentato vicino a gruppi di movimenti diversi ma finalizzati. Esempio: flettere pollice e indice come fare una pinza di precisione può essere rappresentato vicino al movimento di supinare il braccio e flettere il polso e questo è un movimento finalistico, come portare cibo alla bocca. 

Se invece il movimento di pinza è vicino a neuroni di estensione del polso e di estensione di gomito allora può essere una funzione di allontanamento di un oggetto. 

È necessario un ulteriore salto, quello della generazione di fisiologici dal ‘90 in poi per i quali dal muscolo siamo passati al movimento e dal movimento stiamo passando allo scopo di relazione. Quindi la nostra corteccia sarebbe una tastiera non standard in cui diventa facile suonare un accordo in quanto le note dell’accordo sono tutte vicine e servono poche dita per attivarle tutte in contemporanea. 

Parlando di frequenza, le tecniche di stimolazione microelettrodiche prevedono dei treni di impulsi di 50msec a 300hz perché è quella che satura, se considerate la durata di un potenziale d’azione, il neurone. I 50msec, al contempo, sono molto lontani da quelli che noi esprimiamo e quindi, passando da un approccio riduzionistico a uno più olistico, se invece di chiederci il tipo di scarica ottimale per attivare un neurone, ci chiedessimo cosa succede se do correnti elettriche che hanno durate compatibili con quelle dei nostri movimenti volontari allora troveremmo qualcosa di interessante. 

Michael Graziano utilizzando treni di onde di durata 500msec e frequenza bassa, e stimolando per durate e frequenze compatibili con le durate di movimenti reali e le frequenze con cui scaricano normalmente i neuroni, ha trovato che le stimolazioni evocano movimenti simili a quelli della vita quotidiana. 

Se stimolo la stessa regione corticale partendo con il braccio in alto o in basso ne risultano due movimenti molto differenti ma funzioni uguali. Quindi è una dimostrazione forte che quello che conta non è il muscolo, non è il movimento ma è la posizione spaziale verso cui sono diretti i nostri movimenti. Interpretando i dati lo possiamo definire come “lo scopo spaziale del movimento”. 

Nell’uomo elettrodi grossi vengono utilizzati nei pz con epilessia farmacoresistente e permettono di identificare con grande precisione il sito epilettogeno rimuovendolo, permettendo la guarigione. Uno dei migliori centri su questa tecnica è un gruppo del Niguarda di Milano e una collaborazione con loro e il collega Fausto Caruana ha portato a qualcosa di simile rispetto a Graziano, nell’uomo: stimolando la corteccia motoria cingolata si evocano delle risposte in cui il paziente cerca di alzarsi, dei pattern motori complessi come raggiungimento-afferramento , poi body-directed actions  e cioè portare alla bocca e sguardo esplorativo. 

Quanto in alto può arrivare questo livello di rappresentazione motoria? 

Con i colleghi Caruana e Jezzini abbiamo fatto esperimenti di stimolazione nella corteccia dell’insula della scimmia e abbiamo trovato che è possibile evocare risposte di tipo emozionale, di disgusto, e risposte comunicative, gesti affettivi.

Nel 2018 sono stati trovati sempre dallo stesso gruppo, lo  stesso tipo di risposta nella corteccia cingolata nell’uomo: stimolando si può evocare risata, sensazioni interocettive, viscerali e attivazione del sistema nervoso autonomo. 

Come giustifichiamo che regioni corticali così distanti filogeneticamente come la corteccia dell’insula e la corteccia cingolata possano presentare delle disfunzioni di tipo simile?

Lo possiamo giustificare perché con iniezioni di traccianti neuronali io non si attiva solo quella via discendente ma un network corticale; è l’epifenomeno comportamentale di un qualcosa di diverso che sta accadendo al mio interno cioè una programmazione intenzionale motoria o addirittura la formazione di sensazioni emozionali che si esplicitano tramite un comportamento affiliativo, di disgusto o di apprezzamento. 

Tecniche più macroscopiche come la stimolazione transcranica magnetica  possono esser utilizzate: piazzato il magnete su diverse porzioni del cranio, si invia una corrente magnetica che, per la legge di Lorenz, induce perpendicolarmente una corrente elettrica e quindi noi induciamo correnti elettriche che stimolano elettricamente i neuroni (anche se di certo magneticamente). 

Alla fine degli anni 80 il gruppo con Rizzolatti, Matelli et al. hanno studiato una popolazione neuronale della corteccia motoria di scimmia che si attiva quando la scimmia fa movimento con mano destra, mano sinistra o con la bocca: cos’hanno come minimo comune denominatore? Tutti questi gesti portano a prendere possesso di un oggetto e ciò che hanno codificato è lo scopo dell’atto motorio. Cioè questi neuroni non codificano per una via precisa e nemmeno per un movimento specifico, ma “prendere” che è un concetto molto più generale. Quasi 20 anni dopo, nel 2008, abbiamo dimostro che ci sono neuroni con lo stesso tipo di codifica anche nella corteccia parietale. Abbiamo addestrato delle scimmie a utilizzare una pinza normale oppure una pinza inversa e il neurone si attiva con la funzione specifica anche se con movimenti opposti. Tradotto, quello che è codificato è lo scopo di prendere e non il movimento da effettuare. 

Esiste qualcuno che ha messo insieme la registrazione dal singolo neurone local field e l’EEG: Ferrari, Bimbi et al. con microelettrodi laminari a singolo neurone, dalla corteccia premotoria e l’EEG con una cuffietta sul modello animale hanno trovato che i potenziali d’azione dei singoli neuroni correlano in maniera significativa con l’innalzamento del power spetrum dei local field e con il cosiddetto ritmo MU cioè con la desincronizzazione che troviamo nel giro centrale sulla corteccia centrale nell’EEG. Tradotto, c’è un linguaggio comune che possiamo osservare a livelli diversi ma la radice, che possiamo vedere olisticamente o studiare riduzionisticamente, in questo caso è la stessa. 

Lo studio di lesioni è la vera dimostrazione causale: se io ipotizzo che l’area di Broca è l’area del linguaggio, la danneggio e vedo cosa succede. Ci sono numerosi studi che dicono che questo è vero però bisogna stare attenti: se disconnetto l’area di Broca dalle sue afferenze l’area funziona perfettamente ma il linguaggio è distrutto comunque (sindrome da disconnessione). 

In ultimo, vi voglio parlare dei neuroni con la codifica dello scopo

Finora abbiamo compreso che possiamo localizzare le funzioni in un certo senso e che possiamo identificare la corteccia motoria e le vie discendenti come la sede dell’esecuzione motoria. 

Non ve ne ho parlato ma la corteccia parietale e la corteccia motoria collaborano per la codifica dello scopo degli atti motori e per le trasformazioni di tipo sensori-motorio. 

Qualche anno fa abbiamo dimostrato che nella corteccia parietale e motoria non solo ci sono neuroni che si attivano durante l’afferramento ma alcuni di questi neuroni rispondono all’afferramento solo quando seguirà un’azione di tipo diverso: tipo prendo per mangiare ma non quando prendo per buttare. 

Sembra che riflettano, non per forza codificano, una codifica di tipo intenzionale cioè si attivano quando io voglio eseguire una serie di atti motori che mi portano un’intenzione generale. Chiunque sappia qualcosa di neurologia e psichiatria punta sulla corteccia prefrontale: in una serie di esperimenti abbiamo dimostrato che c’è uno specifico settore della corteccia prefrontale che è connesso con il circuito parieto-premotorio coinvolto nella codifica dei movimenti di tipo intenzionale per cui le aree di cui abbiamo parlato sopra sono connesse solo con uno specifico settore e abbiamo trovato che ci sono neuroni che rispondono al movimento. La visione dell’oggetto evoca attività solo quando la va a prendere e l’attività cresce fino a che non ha preso possesso e poi torna a calare. 

Quindi, tra anatomia e funzione, possiamo includere questa regione della corteccia prefrontale in un network più esteso, (neurone, gruppo di neuroni, gruppo funzionale, network) portato da fasce specifiche come la terza branca del fascicolo longitudinale superiore: lesionando il settore parietale a cui arriva questo fascicolo nell’uomo abbiamo sindromi come l’aprassia, che non è una sindrome motoria, ma una sindrome di ideazione motoria cioè la capacità di concatenare i movimenti, sequenziandoli. Inoltre abbiamo altri tipi di deficit: mano anarchica indipendente dalla volontà, o addirittura comportamenti volti all’utilizzo in cui vede oggetti e non può utilizzarli, la trasformazione visu-motoria guida l’azione indipendentemente dalla mia volontà intenzionale. 

E ora, il collegamento con l’osteopatia. Un osteopata può utilizzare una strategia olistica o riduzionistica: cerco il sintomo generale o cerco l’aspetto singolo. Quello che è importante non è la strategia ma l’intenzione che sta dietro al gesto esplorativo

Voi potete avere l’intenzione di cercare la causa generale di un sintomo e nella vostra palpazione sentire la fissità di un tessuto, oppure potete partire con l’intenzione di cercare la fissità di un tessuto e trovare la causa generale. Non importa quale delle due vie scegliete, importa che abbiate l’intenzione di trovare qualcosa

A questo riguardo, mi è venuta in mente una frase di Berthoz, (La Semplessità): 

Senza dubbio ogni qual volta che il nostro cervello anticipa un’azione compare uno stato differente. E come la percezione è sempre simulazione di un’azione nel mondo, la percezione cosciente è sempre un’anticipazione di un qualche evento che si produrrà nel mondo, a prescindere dal fatto che l’evento sia prodotto dal soggetto percepente oppure no. La coscienza non è la coscienza di quello che facciamo, visto che abbiamo coscienza dopo aver anticipato. Io dico che siamo coscienti di qualcosa che anticipiamo”

Quindi, dal mio punto di vista, è utile continuare lo studio dei meccanismi di selezione e controllo delle azioni sulla base delle intenzione oppure espandersi ad un  livello superiore cioè motivazione-emozione-cognizione.  

La domanda è: “cosa ne pensate se questo modello che propongo per la diagnosi, potesse valere anche per la terapia, e cioè se l’intenzione possa essere efficace anche dal punto di vista terapeutico?”

*Stefano Rozzi è ricercatore presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma. Il suo principale interesse di ricerca consiste nello studio della corteccia cerebrale attraverso un approccio multidisciplinare basato su tecniche anatomiche e fisiologiche. Le principali linee di ricerca sono:
Studio delle connessioni corticali delle aree premotorie, parietali posteriori e prefrontali.
Studio elettrofisiologico delle proprietà neuronali della corteccia premotoria ventrale e parietale inferiore (trasformazioni sensori-motorie)
Studio del ruolo delle aree premotorie, parietali e prefrontali in funzioni cognitive come la percezione delle azioni e la relazione tra percezione delle azioni e cognizione (meccanismo dei neuroni specchio).
Studio del ruolo della corteccia prefrontale nelle funzioni esecutive.
È autore di 51 pubblicazioni: 41 articoli in extenso su riviste internazionali peer reviewed, 8 capitoli di libro su libri con processo di revisione anonima, e 2 articoli su riviste nazionali (h-index: 23; citazioni 3549; fonte: Scopus, 24/10/2018).

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