Morfogenesi e campi

morfogenetici

a cura di Stefano Guizzardi – scarica l’articolo in formato pdf

 

La morfogenesi è il processo che porta allo sviluppo di una determinata forma o struttura. In biologia la morfogenesi è lo sviluppo della forma e della struttura di un organismo, sia da un punto di vista evolutivo, sia dal punto di vista dello sviluppo ontogenetico del singolo organismo a partire dalla cellula fecondata (sviluppo embrionale). In quest’ultimo caso, lo sviluppo è favorito dall’azione dei morfogeni e cioè da sostanze in grado di influenzare una certa regione dell’embrione e fornire le istruzioni necessarie per la genesi delle forme.

Platone diceva che “le forme delle cose materiali sono riflessi delle forme eterne o idee nella mente di Dio”, intendendo in questo modo che nella mente di Dio ci siamo, ci siamo sempre stati, sempre ci saremo e nessuno ci può modificare.

Al contrarioAristotele sostiene invece che “le forme di tutti gli organismi derivano da principi formativi intrinseci agli organismi stessi” e quindi in questo caso c’è una possibilità di evoluzione.

Arriviamo poi al Nominalismo, nel Medioevo, in cui in realtà la forma non esiste, le forme sono tutti concetti della nostra mente. Da qui nascono le due grandi correnti che ancora oggi si scontrano: il Vitalismo e il Materialismo.

Il Vitalismo ritiene che i fenomeni della vitasono costituiti da una “forza” particolare, che vi è una netta demarcazione tra l’organico e l’inorganico, che la vita sulla Terra ha avuto un’origine divina e non solo da un’evoluzione risalente a circa 3.800 milioni di anni fa come sostenuto dai biologi contemporanei. In Naturopatia il Vitalismo è la dottrina secondo la quale i fenomeni osservati in tutto l’organismo vivente sono direttiva della forza interiore o vitale.

Questa visione si scontra con il Materialismo, che è una concezione filosofica solitamente monista per la quale l’unica realtà che può essere veramente detta esistere è la materia e tutto deriva dalla sua continua trasformazione. Ciò vale a dire che, fondamentalmente e sostanzialmente, tutte le cose hanno una natura materiale e quindi tutte le cose possono modificarsi in quanto composte di materia in continua trasformazione. Questa è la filosofia predominante di adesso, la filosofia materialista.

Arriviamo poi a Darwin, che sostiene che “non sopravvivono le specie più intelligenti, ma le più idonee al cambiamento”.

Poi è arrivato sulla scena Mendel e con lui i geni, il DNA, la sequenza, le triplette, il che ha portato i ricercatoria pensare di avere trovato la ragione della vita; ad ogni gene corrisponde una proteina e quindi tante proteine formano l’uomo, ed ecco spiegata la forma!! Ma sia Mendel che Dulbecco con il suo Progetto Genoma, e gli studiosi dopo di lui hanno mai spiegato cosa fanno queste triplette. Fanno proteine, machi le assembla queste proteine? Chi dice loro di fare proprio quelle proteine? I geni controllano e dirigono la morfogenesi, ma da soli i geni sono sufficienti?

Per rispondere prendiamo l’esempio dell’orango che, come l’uomo, ha circa 100 mld di neuroni e anche lui circa 27.000 geni che assomigliano per il 99,5% a quelli umani: posso pensare che l’uomo e l’orango assomiglino molto ma non sono decisamente uguali!

Lo sviluppo dipende quindi da processi organizzativi diversi? Il DNA come si assembla? Perché da due sequenze molto simili escono un uomo e un orango?

In questo gioca molto il concetto di informazione. Il DNA, le triplette, codificano delle proteine perché ricevono delle informazioni. Esistono tanti tipi di informazione: ad esempio l’informazione genetica top-down, quella classica Mendeliana, “one gene, oneprotein” per la quale un gene codifica una proteina. Esiste una informazione sterica, cioè esistono un recettore e una proteina con una forma complementare che si legano e mandano un’informazione. Esiste un’informazione Lamarckiana, che è l’informazione legata alla forma delle proteine e alla loro trasmissione ereditaria; le proteine hanno una memoria e sono in grado di trasmettere questa memoria di forma anche alle generazioni successive.

Ma abbiamo anche un’informazione frequenziale; le cellule, ed in particolare il DNA, sono sensibili a frequenze, a onde di frequenza, e noi siamo continuamente immersi in questi campi di frequenza, che è la frequenza di ogni singola molecola e ogni singola proteina. Esiste un’informazione elettromagnetica: siamo dei circuiti elettrici, dato che i nostri neuroni in definitiva sono dei fili elettrici con un loro campo elettromagnetico, tanto è vero che è necessaria la guaina mielinica per proteggerli.

C’è un’informazione non-locale: per il fenomeno di “entenglement” accade qualcosa in un luogo e si rileva una risposta correlata a centinaia di chilometri di distanza. Esiste un’informazione antropo-sociale: noi siamo immersi in un ambiente che ci relaziona, e ognuno di noi possiede una propria frequenza di risonanza, una attività propria, un proprio campo di influenza, e non sto parlando di aura o altri fenomeni di metafisica, ma di un qualcosa che è stato dimostrato che esiste e che non possiamo negare.

Tutte queste informazioni arrivano sul DNA, non sulla cellula, e in generale le possiamo definire informazioni bottom-up, che dal basso vanno verso l’alto, dalla periferia vanno verso il centro, e quindi il DNA diventa uno strumento di ricezione: quella stragrande maggioranza di DNA che non codifica per un gene è DNA recettoriale. Non dimentichiamo infatti che se teniamo conto di quant’è grande un gene e di quanti geni abbiamo, il nucleo delle nostre cellule dovrebbe essere grande 1/10 di quello che in effetti è, e questo significa che il 90% del materiale nucleare non codifica dei geni a noi conosciuti. Questo materiale nucleare che non codifica geni è appunto noto come DNA recettoriale, che acquisisce le informazioni bottom-up, e che sfocia in parte in quella che è nota come epigenetica.

Qual è il mezzo che l’informazione utilizza per andare sul DNA e modificare la forma? Il mezzo è la comunicazione, quindi diventa importante capire quali sono le forme di comunicazione.

Esiste una comunicazione chimica penetrante e non-penetrante, mediante messaggeri chimici di varia natura. Esiste però una comunicazione molto interessante ed è quella veicolata dalla matrice extracellulare che è il tramite per tutti i messaggi che arrivano da e per la cellula. Tutto passa attraverso la matrice, anche nel caso dell’informazione sterica. Una cellula si attiva solo se legata ad un substrato; una cellula non legata non lavora, è inerte, si lascia trasportare dal sangue o dai fluidi. Solo se si lega ad un substrato comincia a fare qualcosa e, a seconda del substrato, produce sostanze diverse (es. un fibroblasto legato ad un tipo di substrato produce collageni, mentre se si lega ad un substrato diverso produce elastina). Questo avviene perché esistono meccanismi di trasduzione mediati dalle integrine, che entrano nel nucleo, attivano il DNA per la produzione di determinate proteine, e il DNA a questo punto opera con il meccanismo “one gene, oneprotein”: questa codifica però è secondaria, non è primaria. Il DNA in questa sequenza è solo un mero esecutore, contenente un’informazione sulle cose che deve eseguire. Ecco quindi l’importanza della comunicazione, la quale, dal punto di vista della morfogenesi, porta al differenziamento delle cellule, dove per differenziamento si intende l’evento globale che produce un essere interamente compiuto in termini di “qualità”.

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla cellula: l’individuo si distingue da ogni altro grazie al differenziamento delle sue cellule. Il differenziamento è realizzato da una serie di fattori che chiamiamo promotori del differenziamento, che sono legati essenzialmente a quello che viene definito come microambiente, il quale è la matrice extracellulare, perché il microambiente in cui è immersa la cellula è la MEC che la stessa cellula produce: la cellula si produce la matrice funzionale a quelli che sono i suoi scopi, e quindi si autoregola nella crescita e nel differenziamento. Fattori importanti del differenziamento sono per esempio la proliferazione: sappiamo che,a seconda di come le cellule organizzano il loro fuso mitotico, formano delle rosette piuttosto che dei tubi piuttosto che delle lamine. Ma conosciamo anche, e questo secondo me è il concetto più importante, la determinazione posizionale, cioè a seconda della posizione che una cellula ha in un determinato ambiente riceve degli stimoli che fanno sì che questa cellula si differenzi in un determinato modo.

Per tanti anni ho definito tutto questo campo morfogenetico, perché avevo un’idea del campo morfogenetico (che in parte ho ancora) secondo la quale questo non fosse altro che il microambiente in cui la cellula è immersa, che contiene concentrazioni di sostanze in grado di influenzarne l’attività. Questo è vero in parte, ma non è sufficiente, perché tiene conto dell’informazione sterica, forse di quella lamarckiana, ma non tiene conto assolutamente degli altri modelli di informazione, che verosimilmente sono ancora più importanti dell’informazione sterica nella genesi.

Anche le grandi filosofie hanno cercato di spiegare la morfogenesi, a partire dai preformisti i quali pensavano che nello spermatozoo, e non nell’ovocita, ci fossero degli individui in miniatura. Bisogna aspettare il 1672 con Jan Swammerdam, lo scopritore del meccanismo della fecondazione, perché venga compreso che è l’unione di uno spermatozoo con un ovulo a dare corso ad un individuo e poi il 1768 con Caspar Friederich Wolff per avere la prima descrizione della formazione dell’embrione di pollo, con la formazione di lamine, pieghe, intestino etc. Con la sua opera ha messo le basi di quello che è lo sviluppo epigenetico, cioè ha ammesso l’esistenza di strutture materiali che non erano presenti precedentemente.

Arriviamo quindi al 1880 quando August Weismann individuò due termini, germoplasma e somatoplasma, in cui il germoplasma indirizza l’organismo e quindi il somatoplasma: non è molto diverso da quello che pensiamo ai giorni nostri nel rapporto  DNA-proteine, fenotipo-genotipo etc.

Nel 1900 viene introdotto un concetto fondamentale da Wilhelm Roux, che affermò che l’embrionenon è qualcosa di meccanico fine a se stesso ma è un mosaico, e in questo mosaico noi possiamo prendere delle parti, spostarle da un’altra parte, e le parti si sviluppano in modo indipendente ma reciprocamente armonico. Questi studi sono stati confermati da Driesch, che studiò la stella marina e gli effetti della trasposizione di parti diverse nelle varie fasi embrionali, scoprendo ad esempio che il prelievo di una cellula durante la fase di blastula consentiva di generare un altro individuo completo,dimostrando così che l’informazione è presente “dentro” l’embrione, ma non è l’unica cosa determinante per la formazione della struttura. Le varie parti dell’embrione non si sviluppano indipendentemente e in modo rigidamente predeterminato: al contrario interagiscono e si adattano le une alle altre.

Qui arriviamo ai dubbi che mi sono venuti e che vi propongo.

Aristotele parlava di entelechia, che è la tensione di un organismo a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all’atto, come se l’organismo avesse una capacità intrinseca di svilupparsi, riprodursi, rigenerarsi etc. Hans Driesch ha riproposto il termine entelechia per designare la forza vitale da lui ritenuta immanente agli embrioni e responsabile del loro sviluppo, in opposizione alle teorie meccanicistiche che li consideravano alla stregua di macchine. Per forza vitalesi intende quindi una forza interna all’embrione, all’individuo: qualcosa dotato di una inerente completezza che agisce sul sistema vivente senza farne materialmente parte.

Affinché l’entelechia possa imporre un ordine, i processi viventi devono essere fisicamente indeterminati, per lo meno a livello microscopico. E questo ci ricollega con il principio di indeterminazione di Heisenberg (1927): “Su scala macroscopica gli elementi non sono pienamente determinati, ma prevedibili solo statisticamente in termini di probabilità”. Quindi noi siamo diversi perché abbiamo delle probabilità diverse di svilupparci in un modo piuttosto che nell’altro. Tutto dipende ma non in modo rigidamente meccanico dall’agente morfogeno, c’è un agente morfogeno X che interagisce con un ambiente e con delle informazioni che fanno parte di questa entelechia, di questa forza vitale. L’indeterminismo quindi è intrinseco nella natura degli esseri viventi.

Ho trovato interessante questo concetto, preso dall’economia, che è il concetto di olone sviluppato da Arthur Koestler, che dice che noi in realtà siamo una somma di tanti campi che interagiscono tra di loro, cioè ogni singolo fenomeno agisce all’interno di un campo e produce delle modificazioni che interagiscono sul campo successivo, e sul successivo ancora, etcetc. e ognuno influenza le attività di quello che c’è dentro, ma soprattutto di quello che c’è di fianco o di quello che c’è vicino. Questo significa che in realtà siamo una rete, una rete complessa, caotica, dove però abbiamo degli hub, dei nodi che influenzano le componenti di rango meno elevato.

Allora il Campo Morfogenetico non è il bagnomaria dove ho tutto questo mix di molecole, ma è anche una regione non-materiale di influenza. E allora, per dirla con Alexander Gurwitsch (1922), “l’ambiente del processo di formazione dell’embrione è un campo i cui confini in generale non coincidono con quelli dell’embrione ma li superano. L’embriogenesi avviene all’interno di campi; quello che ci appare come un sistema vivente consiste di un embrione visibile e di un campo” e questo campo influenza le attività dell’embrione stesso. Posso parlare di embriogenesi ma anche di morfogenesi nell’adulto, perché stiamo parlando, e voi ci lavorate, di modificazioni tessutali dell’adulto, ma i fenomeni sono gli stessi, e probabilmente le regole, ammesso che siano vere, sono le stesse.

Paul Weiss (1939) dice che “un campo è la condizione a cui un sistema vivente deve la sua tipica organizzazione e le sue specifiche attività. Tali attività sono specifiche in quanto determinano il carattere delle forme che producono. Ogni specie di organismo ha il proprio campo morfogenetico, benché i campi di specie vicine possano essere simili. Inoltre nell’organismo ci sono campi secondari, all’interno di un campo generale, di fatto una gerarchia di campi annidati dentro a campi.” Ogni specie ha il proprio campo morfogenetico, ogni cellula ha il proprio campo morfogenetico, ogni individuo ha il proprio campo morfogenetico, diverso da individuo a individuo e simile a quello di individui della stessa specie o di specie vicine, perché dà origine ad aspetti molto simili (es. l’orango e l’uomo). Nei secoli e nei millenni si sono stratificati negli organismi dei campi morfogenetici, che derivano per esempio da quell’informazione antroposociale di cui abbiamo parlato prima.

Quindi modifichiamo ancora lo schema proposto prima: i geni influenzano lo sviluppo dell’organismo, ma c’è il Campo Morfogenetico che agisce nei confronti dello sviluppo direzionando o modificando il campo e la forma dell’organismo.

Finisco con un concetto che mi piace molto, e che è il concetto di creode. Conrad Hal Waddington (1957) ipotizza che i campi morfogenetici esistano, ma si chiede perché i campi morfogenetici dirigano in un modo piuttosto che in un altro. L’idea mi è venuta durante un viaggio in Scozia, osservando i glen, questi canaloni che scendono dai ripidi pendii delle montagne e che si intersecano variamente tra di loro e gradualmente vanno verso il mare: ebbene il creode, o linea di sviluppo di Waddington, è molto simile a questi glen. Una discesa non lineare, in cui ci sono degli ostacoli, dei dossi, e la pallina che rappresenta la nostra vita, la nostra forma, può seguire una strada piuttosto che un altra, andare a destra o a sinistra, un po’ più in alto o un po’ più in basso ma alla fine arriva sempre al mare, come il glenporta sempre l’acqua al mare. Quindi alla fine si forma sempre l’individuo, ma a seconda della strada che prende questa pallina, l’individuo è diverso da tutti gli altri. Nonostante lo sviluppo epigenetico sia lo stesso, sicuramente il creode è diverso.

Tutto ciò i creodi lo fanno sulla base della loro organizzazione spazio-temporale, cioè esiste una terza variabile che è la variabile tempo, per cui la stessa cosa un istante prima e un istante dopo dà un effetto diverso.

I campi morfogenetici collegano gli organismi in fase di sviluppo a futuri modelli di organizzazione verso il quale i creodi indirizzano il processo evolutivo. I campi di informazione sono contenuti non in uno specifico ambiente (DNA, Programma Genetico) ma all’interno delle singole molecole, cellule,  tessuti o ambiente, che consentono a queste entità di riconoscersi, scegliersi e istruirsi a vicenda, di controllare, regolare, dirigere e determinare eventi di ogni tipo. Per quanto noi ci sforziamo di pensare che non sia vero,i campi di informazione sono quello che definiamo memoria cellulare, memoria della forma. Le cellule hanno una memoria, le proteine hanno una memoria, i materiali hanno una memoria, e questa memoria si forma attraverso vie che io non conosco, che posso ipotizzare e su cui posso speculare, ma che sicuramente si sviluppa attraverso una modificazione della forma. I campi morfogenetici evolvono nel senso che l’ambiente è in grado di indurne modificazioni (epigenetica). Esiste un campo, esiste un ambiente, e l’ambiente influisce sul campo, non sul DNA.

Ma qual è la natura di questi campi morfogenetici? Da dove provengono? Come si sono formati? Chi li ha creati? Domande più che filosofiche, quasi teologiche. Non lo so.

I campi morfogenetici vengono ereditati? Sì: i campi morfogenetici sono eterni e immutabili, esistono in una dimensione trascendente, indipendente dalla effettiva esistenza degli organismi. Le loro equazioni esistevano già da prima che la terra nascesse. Aveva dunque ragione Platone con il vitalismo? Non credo. Avevano ragione sia Platone che Aristotele, perché non esiste un’unica verità, ma esiste l’interazione di diverse scienze e diverse discipline, e solo attraverso quest’interazione possiamo capirequali sono i fenomeni e come succedono.

I campi morfogenetici evolvono? Dawkins ha provato a fornire un modello matematico, tentando di creare l’equazione del campo morfogenetico per poi vedere come evolveva, e sviluppando così 29 generazioni di equazioni matematiche che portano alla formazione di un individuo diverso da quello precedente, però a me il fatto che si cerchi di spiegare con una formula matematica un campo morfogenetico dà sinceramente un po’ fastidio, non lo trovo aderente.

Finisco con il modello della Causalità Formativa, sviluppato da Rupert Sheldrake nel suo libro “The presence of the past: morphicresonance and the habits of nature”: “Ogni tipo di cellula, tessuto, organo, organismo ha il suo campo specifico, questi campi formano micro-organismi, piante e animali in via di sviluppo e stabilizzano le forme degli organismi adulti.

I campi morfogenetici collegano gli organismi in via di sviluppo a futuri modelli di organizzazione verso i quali i creodi indirizzano il modello evolutivo. In questo senso i campi dipendono da ciò che è stato nel passato.”

Sheldrake aggiunge poi un concetto un po’ forte che è quello di Risonanza Morfica: “Tanto più simile è un organismo agli organismi precedenti, tanto più entra in risonanza morfica con essi. Più numerosi sono stati gli organismi, tanto più è potente la loro risonanza cumulativa.”Sheldrakefa un esempio che tutti potreste aver visto, cioè i banchi di sardine o gli stormi di storni: voi prendete un banco di sardine composto da milioni di individui, che nuotano a stretto contatto l’uno con l’altro, e muovendosi danno vita a forme  tipo ciclone, o tornado senza mai sbattere l’uno contro l’altro, muovendosi tutti in modo sincrono. Non è possibile che il primo del gruppo giri ad esempio a destra e tutti lo seguano, perché la forma complessiva sarebbe diversa, mentre le forme che creano nuotando sono immanenti, trascendentali, archetipe.

Campi Morfici sono “ strutture di probabilità” in cui l’influsso dei tipi precedenti si combina accrescendo la probabilità che questi si ripresentino. Non sono delle strutture reali, e quindi torniamo al principio di indeterminazione.

Maggiore è la popolazione e più potente è il campo morfogenetico e maggiore sarà la possibilità di crescita dell’individuo: sono quindi i Campi Morfogenetici a fare le differenze tra individui.

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