Occlusione, ATM, postura: considerazioni per un approccio globale

Contributo originale per Osteopatia News 2013 (11)
di Andrea Corti e Paolo Magnolfi 

Indice:

Introduzione
La funzione masticatoria
Respirazione
Sistema carnio sacrale
Postura
Caso clinico 1 
Caso clinico 2

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Introduzione

La relazione tra malocclusione, postura corporea e disordini dell’ATM (DTM) è un argomento controverso e tuttora molto dibattuto in ambito scientifico. In una recente revisione della letteratura (Manfredini D, Castroflorio T, Perinetti G, Guarda-Nardini L.) si afferma che le indagini posturografiche non hanno trovato costantemente una relazione tra occlusione e postura corporea. Secondo gli AA questo risultato è dovuto ai numerosi meccanismi di compenso che intervengono nel mantenimento dell’omeostasi da parte del sistema neuromuscolare che la strumentazione non riesce a valutare. Inoltre la ricerca mostra che i disordino temporo-mandibolari (DTM) non sono sempre collegati a specifici problemi occlusali e non hanno nessuna relazione documentabile con la postura del capo o del corpo. In conclusione, secondo questo studio non vi è evidenza tra le caratteristiche occlusali e posturali, ed è chiaro che la presenza di un dolore all’ATM non è collegato all’esistenza di una anomalia occluso-posturale dimostrabile, “pertanto, l’utilizzo di strumenti e tecniche atte a misurare presunte anomalie occlusali (elettromiografia, kinesiografia, posturografia, etc) non possono essere giustificati nella medicina basata sulle evidenze”.

L’ultimo documento della Società Italiana di Ortodonzia (SIDO) afferma che, in base alla revisione della letteratura in merito a postura del capo e corporea e occlusione, sebbene siano stati riscontrate alcune associazioni tra caratteristiche occlusali e alterazioni della postura, non vi sono evidenze scientifiche che supportino una relazione di causa-effetto. La maggior parte degli studi in merito difetta nella metodologia per la carenza dei gruppi di controllo, per l’inappropriatezza del progetto di studio, per la scarsa validità e riproducibilità dei test diagnostici utilizzati. Sulla base di queste considerazioni non si ritiene consigliabile effettuare terapie occlusali e/o ortodontiche, specialmente se irreversibili e molto costose, per trattare o prevenire alterazioni della postura o deviazioni della colonna vertebrale (Michelotti A, Buonocore G, Manzo P, Pellegrino G, Farella M.

Risulta pertanto difficile, se non impossibile, stabilire un protocollo di diagnosi occluso-posturale sulla base dei criteri di indagine fin qui esaminati. La riflessione che proponiamo si basa su considerazioni anatomiche e fisiologiche.

Per occlusione fisiologica si intende un’occlusione in cui tra i vari tessuti del sistema stomatognatico esiste un equilibrio funzionale omeostatico: le sollecitazioni cui sono sottoposti i denti vengono normalmente dissipate senza problemi, in quanto lo stress occlusale e masticatorio è controbilanciato dalla capacità di adattamento dei tessuti di sostegno, dei muscoli e delle atm. In soggetti sani e soddisfatti della propria condizione (estetica) si riscontra in genere questo tipo di occlusione che, pur non essendo clinicamente rispondente all’ideale stereotipo terapeutico, non deve essere trattata (McNeill).

parametri che dobbiamo considerare per valutare la fisiologia dell’occlusione sono:

  • rapporti occlusali di 1ª classe molare e canina;
  • rapporti di Overjet e Overbite di ± 2 mm;
  • frenuli labiali in asse con le linee interincisive superiore e inferiore;
  • movimenti di apertura e chiusura senza deviazioni e con adeguata ampiezza (in relazione alle
  • caratteristiche somatiche del soggetto);
  • angoli Funzionali Masticatori di Planas (AFMP) simmetrici.

In prima istanza occorre valutare se nella bocca, in tutte le sue componenti, vi siano segni di disfunzione; per “disfunzione” si intende la difficoltà ad eseguire una funzione da parte di un apparato (dispnea, disfagia, dismenorrea, disuria, etc). Il paziente disfunzionale viene spesso confuso con quello sintomatico, in realtà se ne distingue per due le caratteristiche che in esso si riscontrano costantemente:

  • è un soggetto dis-cinetico, cioè con difficoltà ad eseguire correttamente i movimenti della bocca;
  • è un soggetto asimmetrico inizialmente solo nella funzione; se quest’ultima persiste lo diventerà anche nella forma.

L’interpretazione occlusale della disfunzione si basa sulle Leggi di Planas.

L’apparato stomatognatico si inserisce però in altri sistemi e cioè la deglutizione, la respirazione, il sistema cranio-sacrale, la postura cranio-cervicale, che a loro volta possono influenzare negativamente il buon funzionamento della masticazione ed essere causa di una occlusione non fisiologica. E’ compito anche dell’osteopata investigare questi sistemi nell’analisi di una malocclusione manifesta o latente.

 

La funzione masticatoria

La lingua può essere considerata come un prolungamento cefalico della colonna cervicale; ha origine infatti dai 4 somiti sotto-occipitali. Con lo sviluppo degli archi branchiali del mascellare e della mandibola questi somiti migrano anteriormente e danno origine alla lingua. L’embriologia spiega pertanto le connessioni tra nervo ipoglosso e il plesso cervicale e la loro sinergia funzionale. Durante un processo di deglutizione fisiologica, la fissità dell’osso ioide, che rappresenta il punto di partenza del movimento, avviene senza attivazione della muscolatura cervicale.

Dall’osservazione clinica possiamo constatare che quando la deglutizione non è corretta, il coinvolgimento di tale muscolatura è proporzionale al grado di disfunzione il che dovrebbe incrementare la lordosi cervicale; questo in realtà si realizza solo in un primo momento, con l’estensione di C0-C1-C2, l’ inclinazione del piano di Francoforte da dietro in avanti e dal basso verso l’alto e la conseguente perdita di orizzontalità dello sguardo. Nell’intento di recuperare la posizione orizzontale si attuano compensi automatici che fanno perno su C3-C4, con conseguente riduzione della lordosi cervicale ed eccessivo lavoro della muscolatura assiale cervicale. Questi sono tutti possibili fattori predisponenti a cervicalgie e cefalee muscolo-tensive. Ogni disfunzione del plesso cervicale può ritrasmettersi sul nervo frenico (rr. di C3-C4-C5) e quindi comportare una possibile disfunzione della respirazione diaframmatica (chi deglutisce male respira peggio). Le inserzioni di questo muscolo possono influenzare l’assetto delle vertebre toraciche ma anche lombari e psoas (iperlordosi, rotazioni bacino, etc. ).

 

occlusione condizionata da deglutizione non fisiologica
Esempio di occlusione condizionata da deglutizione non fisiologica che ha nel tempo condizionato da una parte il corretto sviluppo della premaxilla e dall’altra ha favorito la rettilineizzazione del rachide cervicale.
Sotto: la placca di Bonnè, dispositivo funzionale di rieducazione della lingua.
placca di Bonnè

Occorre considerare anche il rapporto esistente tra nervo ipoglosso e nervo frenico per la presenza di una anastomosi tra i due nervi (sinergia funzionale), e perché ambedue ricevono filamenti anastomotici dai gangli cervicali dell’ortosimpatico (inferiore per il frenico e superiore per l’ipoglosso). Entrambi possiedono fibre motrici, propriocettive e sensitive. Le fibre freniche propriocettive raccolgono impulsi dalla muscolatura diaframmatica, quelle sensitive (dopo anastomosi con quelle provenienti dal plesso celiaco), innervano i legamenti falciforme e coronario del fegato.

Questo spiega la cervicalgia da ipertono secondario riflesso nei pazienti con calcolosi della colecisti, statosi marcata o cirrosi. Ricordare anche il punto frenico tra i due capi dello SCOM, dove si risveglia la sensibilità di questo nervo nelle nevralgie del medesimo. Il nervo ipoglosso presenta un ramo collaterale meningeo occipitale; l’ipoglosso è motorio ma il Testut riporta che fibre provenienti dal plesso cervicale profondo forniscono rami al tronco dell’ipoglosso e pertanto il ramo discendente possiede fibre sia dell’ipoglosso che di C1 e C2. Questo può spiegare quella sintomatologia che alcuni pz riferiscono al risveglio con cefalea occipitale, o cervicalgia, o senso di pesantezza alla testa.

Il n. ipoglosso presenta una connessione importante anche con il ganglio cervicale superiore ortosimpatico e con il ganglio inferiore del nervo vago. Si può pensare che ogni qual volta si deglutisce, l’input neuronale si propaga anche a questi grandi sistemi che , a livello cardiaco, hanno funzioni opposte; non di rado infatti dopo il riequilibrio occluso-deglutitorio può verificarsi una normalizzazione dei disturbi funzionali del ritmo cardiaco, normalmente attribuiti a stress.

Possiamo schematicamente dividere le cause di alterata fisiologia della deglutizione (che sono in molti casi anche le aree di intervento osteopatico) in :

a) cause che alterano la postura cervicale:

  • prevalenza delle catene muscolari di flessione o di estensione del tronco (anche per attività atletica intensa);
  • lesioni neurologiche ( distrofia muscolare, sclerosi a placche, etc);
  • lesioni traumatiche (colpo di frusta o traumi diretti su occipite, sacro, colonna vertebrale);
  • scoliosi;
  • aumento o riduzione incongrue della Dimensione Verticale (DV) per presenza di bite o per correzione ortodontica o per mal occlusione.

b) cause che alterano la competenza labiale: 

  • respirazione orale per ostruzione meccanica, allergica o trauma del setto nasale;
  • abitudini viziate;
  • allattamento artificiale;
  • labio-palatoschisi;
  • aumento o riduzione incongrue della DV.

c) problemi propri della lingua:

  • anatomici (frenulo linguale corto o anchiloglossia);
  • genetici e/o neurologici.

d) deglutizione atipica. 

 

Respirazione

Il ruolo dell’apparato stomatognatico nella respirazione lo possiamo riassumere con alcuni concetti. La respirazione è la prima funzione a comparire e ultima a scomparire; il complesso cranio-maxillo-facciale ha stretti legami con l’insieme della gabbia toracica (catena viscerale anteriormente e vertebrale posteriormente); tutte queste strutture hanno una comune origine membranosa e quindi esiste una concatenazione nello sviluppo armonico o patologico.

L’osso ioide, per sostenere la catena viscerale e per il mantenimento della pervietà delle vie aeree e impedirne il collabimento, ha bisogno di 2 ancoraggi:

  • anteriori –> miloioideo e ventre anteriore del digastrico che si inseriscono sulla linea miloioidea della mandibola;
  • posteriori –> ventre posteriore del digastrico e stilo- ioideo che si inseriscono su occipite e temporale.

La mandibola ha un ruolo fondamentale nella respirazione. Una frattura della sinfisi e la caduta di tono del genioglosso durante la narcosi, testimoniano l’importanza della mandibola nella respirazione. Altrettante ripercussioni possono estrinsecarsi sulla mandibola o meglio sulla sua direzione di crescita quando si altera la funzione respiratoria. Anche il condilo mandibolare ha una relazione importante con la gabbia toracica: trovandosi sotto alla SSB che divide lo splancnocranio dal neurocranio è a sua volta collegato all’OTS tramite scaleni e scom. Entrambi questi muscoli partecipano alla formazione della lordosi cervicale, mentre i muscoli paravertebrali vi si oppongono. I legami stretti tra gabbia toracica e base cranica sono apprezzabili nelle patologie malformative come la disostosi cleido-cranica e nel torcicollo congenito.

Nella prima c’è la agenesia o ipoplasia della clavicola bilateralmente con scomparsa del capo clavicolare dello scom, mentre quello sternale rimane normale; le conseguenze sono brachicefalia e allargamento trasversale del cranio, obliquità costale anormale, svasamento toracico, chiusura dell’angolo della base e rettilineizzazione del tratto cervicale dovuto agli antagonisti dello scom (paravertebrali). Nel torcicollo congenito, per retrazione di uno scom, si riduce la distanza tra sterno e mastoide: ne deriva l’inclinazione della testa dal lato affetto e ruotata dal lato opposto, la scoliosi cervicale convessa dal lato opposto a quello affetto, mastoide del lato affetto franata verso il basso e conseguente frontalizzazione della piramide petrosa, quindi allargamento monolaterale della base del cranio.

Esempio di torcicollo congenito con crossbite sx prima e dopo ciclo di trattamento osteopatico della durata di 3 mesi.
Torcicollo congenito con crossbite sx prima e dopo trattamento osteopatico in attesa di iniziare terapia ortodontica

La sincondrosi sfeno-basilare (SSB) è la zona in cui si affrontano neuro e splancnocranio e in cui si scambiano gli impulsi provenienti dalla catena viscerale e dalla catena posteriore. La SSB si trova in corrispondenza della metà del clivus che forma col planum della base cranica l’angolo posteriore della base. Alla nascita quest’angolo è quasi piatto così come la cavità glenoide; si accentua gradualmente con la crescita vertebrale (in alto le cervicali, in basso dorsali e lombari ).

Lo ioide è trascinato verso il basso dalla catena viscerale e porta con sé la lingua e la mandibola. Posteriormente le strutture sono sospinte verso l’alto, inizia la chiusura della SSB (3 mesi), e contemporaneamente si realizza la lordosi cervicale (inizio a 6 mesi).

Tutti questi movimenti vengono guidati dalla respirazione che è già iniziata tra la 11ª e 13ª settimana intrauterina. In queste settimane avvengono inoltre i primi movimenti di deglutizione e il cambio di direzione di crescita della cartilagine di Meckel. Le due cartilagini nascono nella zona paramediana della sinfisi mandibolare, compiono un tratto verticale e poi piegandosi, uno orizzontale : questo testimonia che la cartilagine di Meckel presiede all’ontogenesi mandibolare e sostiene le funzioni del primo arco branchiale: respirazione e deglutizione.

La mandibola si sviluppa dalle zone sinfisaria, angolare, coronoidea, e condilare che perdono la loro natura cartilaginea alla nascita, ad eccezione della regione sinfisaria dove persiste fino a 2 anni. I fasci di fibre di queste zone si uniscono e si fondono nel corpo mandibolare formando una zona a maggiore resistenza detta “linea fondamentale della mandibola”, linea di unione sinfisi-condilo ma anche di trasmissione di impulsi tra splancno e neuro-cranio.

Anche il m. genioglosso gioca un ruolo importante nella ventilazione coinvolgendo i condili mandibolari; la sua inserzione è parasinfisaria e subisce tutte le variazioni del ciclo respiratorio, il suo tono aumenta durante la inspirazione e la sua attività si trasmette attraverso la linea fondamentale meccanicamente dalla sinfisi ai condili. Questi crescono quindi in base ai ritmi di crescita come per tutto l’organismo, ma anche subendo le variazioni degli impulsi del genioglosso impegnato a mantenere pervie le vie aeree. Ogni volta che c’è una ostruzione meccanica in corrispondenza del rino-faringe, quindi in prossimità condilare, a questo livello si realizza una spinta di crescita diminuita e una diversa direzione di sviluppo (es. nella S. di Pierre Robin ).

Esistono situazioni di difficoltà respiratorie non dovute a patologie sviluppatesi nei primi anni di vita, bensì a caratteristiche morfologiche che si allontanano dalla crescita armonica. Una di queste è la riduzione del tratto incisivo superiore. Gli incisivi giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del mascellare: le cripte formandosi creano una tensione sull’osso alveolare che è contrapposta a quella della muscolatura peri-orale. Gli abbozzi degli incisivi prendono parte allo sviluppo della premaxilla e dello spazio che chiude la parte bassa delle fosse nasali. Concorrono inoltre a formare la sutura tra premaxilla e mascellare, la sutura incisivo-canina, e delimitano la parte anteriore e laterale dell’arcata mascellare. Gli equilibri di forze interne ed esterne che determinano la formazione della premaxilla terminano quando erompono gli incisivi (6-7 anni) e questo è il momento in cui comincia a chiudersi la sutura tra premaxilla e mascellare, che si completerà tra i 12 e i 18 anni. Quando gli incisivi permanenti erompono la premaxilla non si espande più trasversalmente così come non si espande la parte inferiore degli orifici nasali.

 

Sistema cranio sacrale

Lo sviluppo scheletrico dell’organo della masticazione (mascellare, mandibola, temporali, atm) si realizza a partire dal movimento di flessione della base cranica che accompagna lo sviluppo delle vescicole encefaliche e che trova il suo tramite scheletrico nella sincondrosi sfeno-basilare (SSB). Le variazioni dell’ architettura cranica avvengono in funzione dei gradi di flessione della SSB e possiamo riassumerle schematicamente:

  • la chiusura dell’angolo sfenoidale è la risultante dell’attività di flessione della SSB;
  • l’orientamento della cerniera OAE e del palato secondario segue il grado di flessione della SSB;
  • la realizzazione del cosiddetto equilibrio cranio-palatino (Delaire – Deshayes), l’allineamento del piano bispinale (linea tra spina nasale anteriore e posteriore), dell’arco anteriore dell’atlante, della sommità dell’odontoide e della parte inferiore della squama occipitale;
  • al termine dello sviluppo, ad un angolo sfenoidale rimasto “aperto” corrisponde una posizione alta dell’occipite con allungamento del campo cranio-facciale e accorciamento del campo cranio-rachideo. Siamo in una architettura della morfologia cranica in ESTENSIONE;
  • ad un angolo sfenoidale rimasto chiuso corrisponde una posizione alta dell’occipite, campo cranio-facciale corto e cranio-rachideo lungo. Siamo in una architettura della morfologia cranica in FLESSIONE;
  • durante le modificazioni tridimensionali dello scheletro cranio-facciale, al lungo fenomeno evolutivo della flessione della base cranica si integra la mobilità intrinseca delle ossa craniche. Tale integrazione è mediata dalle membrane di tensione reciproca (mtr), che creano un equilibrio tensivo variabile durante la crescita, per concludersi in una situazione architetturale finale post-puberale;
  • l’equilibrio maxillo-mandibolare si instaura prima di tutto tra:
  • A – occipite-atm (equilibrio cervico-occipito-temporo-mandibolare)
  • B – frontale – mascellare (equilibrio sfeno-etmoido-fronto-mascellare)

Sappiamo che il fenomeno evolutivo di flessione della base cranica riflette l’imprinting genetico e può essere alterato da disordini dello sviluppo del sistema nervoso centrale (congeniti o acquisiti): l’adattamento periferico mediato dalle mtr risente anche delle influenze esterne posturali e/o traumatiche che possono modificare lo sviluppo dell’architettura cranio-facciale.

 

Postura

Negli anni si è sempre cercato di costruire un modello funzionale di risposta del corpo umano alle disposizioni meccaniche interne ed esterne. Storicamente si è sempre cercato di fare paragoni con schemi statici che si analizzano nell’architettura e nella scultura. Si riconoscono 6 tipi di strutture architettoniche via via sempre più complesse:

Struttura di mattoni: la stabilità è data dal baricentro di ogni mattone che deve cadere dentro il perimetro del mattone sottostante. E’ una struttura dispendiosa energeticamente ed è dipendente dalla reazione della massa dei mattoni al forza di gravità.

Struttura a volta: simile alla precedente. Agiscono solo le forze di compressione: il dispendio energetico è più ridotto.

Struttura a travi e colonne: la rigidità dipende dal grado di integrazione dei punti di unione degli elementi. In questo caso il dispendio di energia è ancora minore ma sempre poco efficace.

Tensostruttura: deriva dal precedente. In questo caso, negli elementi orizzontali (ad es. nei cavi di acciaio di una trave del cemento armato) si trovano strutture allungate che sopportano più carico consumando meno energia.

Struttura geodesica: fu teorizzata dall’arch. Bauersfeld e realizzata dall’architetto Buckminster Fuller (1975). E’ una struttura tridimensionale con elementi simmetrici di forma triangolare, pentagonale o esagonale che si orientano in angoli variabili coincidenti con gli elementi contigui. In questo caso i carichi orizzontali e verticali si trasformano in sforzi di compressione assorbiti da tutto l’insieme. E’ una struttura efficace dato che un’azione dinamica esterna si ripercuote su tutti gli elementi in relazione alla distanza dal punto di applicazione. E’ una struttura che non utilizza molta energia ma è gravità-dipendente dato che tutti gli elementi rispondono alla compressione (Kenner, 1973; Levin, 1982).

Strutture ubbidienti alla teoria tensegritiva (integrità di tensione): la teoria nacque con lo scultore Kenneth Snelson che costruì prototipi con elementi che rispondevano alla compressione insieme ad elementi che rispondevano solo alla trazione. Si dice che questo insieme si trovi in uno stato di “prestress”, cioè che è “preparato” anche in assenza di forze esterne a rispondere efficacemente a sollecitazioni dinamiche da qualunque orientamento, indipendentemente dall’azione delle forze gravitazionali. Un incremento di tensione in un punto si equilibra istantaneamente con un incremento di compressione e di trazione in punti geometricamente distanti dal punto di applicazione. Questo comportamento, dovuto all’interazione tra elementi rigidi che reagiscono alla compressione ed elementi flessibili che reagiscono alla trazione, si definisce autostabilizzante (Levin, 1982 e 1990; Barnes, 1990). E’ probabilmente il principio di organizzazione di tutto il mondo fisico. Le strutture con una propria stabilità si formano in modo spontaneo a diversi livelli. Il citoscheletro è solo un esempio di questo comportamento (Ingber,1998).

La risposta meccanica è la seguente: applicando una forza di compressione o di stiramento su due tiranti paralleli situati ai lati opposti, si produce un movimento nei sei tiranti. Come risultato la struttura si espande o si rimpicciolisce, adattandosi in modo asimmetrico. In conclusione: non è possibile un’azione isolata da nessuno degli elementi separatamente, deve sempre agire l’insieme al completo. Lo schema tensegritivo risponde perfettamente ad una delle leggi cardine della natura: la ricerca di equilibri stabili.

Nel corso della storia, la colonna vertebrale fu paragonata prima ad un sistema “a mattoni” (Kazarian, 1975; Levin, 1990; McNab, 1977; Tkaczuk, 1968), poi a quello di travi e colonne per cui i tessuti soffici si incaricherebbero di rispondere agli sforzi di flessione, lo scheletro a quelli di compressione ( Nachemson, 1968; Panjabi, 1977). Se però si analizza l’architettura interna di una vertebra (Adams,2002), si nota che la struttura spugnosa differisce dalle strutture interne di altre ossa che devono sopportare un gran peso (es. femore o tibia). Osservando la struttura ossea delle vertebre, notiamo la presenza di uno strato sottile di osso compatto a livello dei piatti e dell’arco neurale (incluse le apofisi articolari della vertebra superiore ed inferiore). La struttura della parte spugnosa dei corpi vertebrali mostra la convergenza delle trabecole in corrispondenza dell’arco neurale a dimostrazione che proprio quest’ultimo è progettato per sopportare il peso e le forze di compressione. Per capire quanto appena detto si deve analizzare la struttura della parte posteriore di ogni vertebra lombare che possiede un paio di apofisi articolari superiori ed un paio inferiori. Ad es.: l’apofisi articolare superiore di L2 sta sopra l’apofisi inferiore di L1. L’articolazione è poi coperta e sostenuta da tessuto connettivo fibroso (Robbie, 1977) ; questo tessuto connettivo sarebbe capace, entrando in tensione, di sospendere una vertebra sull’altra (L2 suL1), senza comprimerle tra loro. In questo modo il tessuto connettivo agisce come una specie di fasciatura, assicurando un’adeguata posizione di L2.

Ciò si ripete come una catena lungo tutta la colonna vertebrale, differenziandosi secondo i dettagli anatomici, vertebra per vertebra. In pratica la stabilità della colonna vertebrale dipende più dalle forze di tensione che di compressione. In questo schema le vertebre rappresentano le strutture fisse ed il tessuto connettivo la struttura di tensione che sospende e controlla le prime. A ciò vanno aggiunti i legamenti longitudinali anteriore e posteriore, gli interspinali, gli intertrasversari e tutto l’apparato muscolare. Tutto l’insieme, quindi, è integrato funzionalmente, in un continuo stato di pretensionamento, preparato in qualunque momento a muovere, proteggere,controllare e stabilizzare.

Dagli studi fatti sembra che la colonna vertebrale funzioni più efficacemente quando una parte considerevole del peso corporeo è supportato dalla struttura tensegritiva (sospesa, cioè, funzionalmente, attraverso il tessuto miofasciale). In una schiena dolorante, uno dei segmenti miofasciali si trova in tensione o molto retratto e ciò comprime le varie parti tra loro. Il risultato è un deficit di flessibilità. Nel tempo si va a bloccare un determinato segmento della colonna, trasformandolo da struttura funzionale libera a struttura di compressione. Ciò facilita la dannosa progressione delle forze gravitazionali, come il processo di un lento e progressivo deterioramento strutturale. Una struttura di tensegrità che si basa uno stato di tensione continua e di discontinua compressione è stabile in tutte le direzioni e suppone un insieme di connessioni interne altamente integrate, come si osserva nel corpo umano. Questo spiega come mai non si rompa il tallone di un corridore che batte il tallone a terra 550 volte in 1km, sopportando da 2 a 5 volte il peso del corpo. Gli studi di Donald Ingber e dei suoi collaboratori di Harvard suggeriscono che il principio di tensegrità può applicarsi a qualunque scala nel corpo umano (Ingber 1985). Da un punto di vista macroscopico, le 206 ossa del corpo costituiscono i componenti rigidi della struttura corporea che sono stabilizzati attraverso i legamenti ed i muscoli che compiono la funzione di componente tensionale.

Un esempio del modello tensegritivo a livello macroscopico è dato dall’arto superiore che, non avendo funzioni di supporto del peso, non può rispondere ai principi di compressione. Il suo sistema di sostegno è dato dalle forze di tensione. Tale sistema è sostenuto dalla muscolatura che avvolge la colonna vertebrale, il torace e l’estremità superiore, trasformandolo in un sistema di sostegno di tensione.

Per la mandibola possiamo fare la stessa considerazione: le prime osservazioni sono iniziate con lo studio del libro ‘Meccanica vivente’ dell’antropologo Gourhan che ha analizzato i crani di animali, di uomini preistorici e di uomini moderni, elaborando dei tracciati cefalometrici da lui definiti di trazione, di sospensione e di appoggio, e rilevando tra le diverse specie sia animali che umane, notevoli correlazioni e analogie soprattutto per quanto riguarda il piano occlusale e l’architettura craniale. Il piano occlusale si è modificato di pari passo ai processi di verticalizzazione del corpo nel passaggio dalla quadrupedia alla bipedia; si è passati infatti da una forma cranica ovoidale allungata in senso antero-posteriore (Australopitechi) alla forma sferica dell’uomo moderno.

Ulteriori studi riguardanti lo sviluppo della postura cranio-mandibolare confermano le nostre ipotesi. Secondo noi quindi la mandibola gioca, in questa prospettiva, un doppio gioco:

  • è testimone di un certo stato di contrazione cranio-facciale (di origine neurale);
  • si comporta da conformatore cranico, nel senso che la forma del cranio si adatta alla funzione mandibolare, la quale è a sua volta dipendente dalla masticazione.

Sulla base delle osservazioni cefalometriche dobbiamo fare alcune considerazioni in relazione all’apofisi coronoide. Già Ricketts nella sua elaborazione dei tracciati di previsione di crescita a lungo termine diceva della coronoide: “……Il coronoide era un ‘laccio’ per via del fascio temporale. Quando si studiò il ‘fenomeno polare’ si notò che la zona più vicina per la sovrapposizione era il processo coronoide. Sembra ci sia una forte relazione tra coronoide-condilo con la base del cranio……comunque l’intera mandibola è regolata da una contro-rotazione entro la catena cinetica della testa e del collo e perfino la postura della testa sembra avere delle conseguenze.”.

Esistono forme del processo coronoide molto diverse tra individui e individui; talvolta in teleradiografie eseguite in proiezione latero-laterale questi processi appaiono lontani dai condili con un’ampia incisura, a volte molto vicini, qualche volta stretti, altre volte molto larghi e a volte con decisi orientamenti. Normalmente in anatomia il processo coronoide è definito come apofisi e zona di inserzione del muscolo temporale il quale ha la funzione di elevatore della mandibola (in armonia con altri muscoli).

Noi riteniamo che il muscolo temporale con la sua inserzione nel processo coronoide svolga anche un altro compito e cioè mantenere appesa la mandibola in posizione di riposo con l’orientamento che la mandibola deve avere, cioè con il piano occlusale orizzontale. Tuttavia la spiegazione può apparire semplicistica e logicamente è legata ad un meccanismo più complesso che coinvolge altri organi ma sostanzialmente il concetto rimane questo: il muscolo temporale non è dotato di intelligenza propria e ancor meno la mandibola, ma entrambi sono parte di un sistema che svolge molteplici funzioni quali parlare, masticare, deglutire, respirare, ma anche di mantenere la posizione di riposo con il minor dispendio di energia. Da un punto di vista antropologico e studiando l’evoluzione umana è facile pensare all’uomo primitivo in continuo stato di vigilanza per cacciare e procurarsi il cibo e per non essere a sua volta cacciato. Appare quindi un soggetto che per la maggior parte del tempo è con la testa eretta, lo sguardo che scruta l’orizzonte, le narici orientate per percepire gli odori, le orecchie tese per avvertire i rumori e la bocca semi socchiusa in posizione di riposo ma pronta a contrarsi di fronte al pericolo o pronta ad aprirsi per gridare o per aggredire.

E’ per questi lunghi tempi di vigilanza che la mandibola sta appesa arrecando il minor dispendio di energie. Utile è stato anche osservare la forma dei processi coronoidi dei diversi animali per rendersi conto che la loro funzione e quella del temporale non si limita al solo sollevamento della mandibola ma anche, e forse soprattutto, al mantenimento di una posizione equilibrata durante lo stato di riposo.

Una analoga struttura tensegritiva si riscontra anche a livello cellulare. Il citoscheletro determina la forma di ogni cellula, l’aiuta a muoversi e mantiene il nucleo cellulare nella posizione appropriata. Insieme alla matrice extracellulare costituisce un sistema che si adatta con sorprendente rapidità e flessibilità alle condizioni ed imposizioni esterne ed interne. Ingber sostiene che i componenti del citoscheletro agiscono come cavi di tensione, assicurando l’appropriata posizione del nucleo e stabilizzando la configurazione cellulare (Ingber, 1998). Cellula e nucleo sono collegati fisicamente attraverso i filamenti tensionali e non solo con il liquido citoplasmatico. Si è osservato che cambiando la geometria superficiale cellulare, si alterano le reazioni biochimiche della cellula e persino la distribuzione delle proteine che definiscono i geni.

Ingber ha analizzato che applicando uno sforzo di tensione alle molecole individuali che attraversano la membrana cellulare e collegano la matrice extracellulare con il citoscheletro interno, le cellule diventano più rigide: i filamenti diventano più tesi, si restringono e si raggruppano in fibre. Questo attiva anche alcuni geni e cioè stimola la produzione di acido ribonucleico e proteine, strutture incaricate di portare a termine la maggior parte delle funzioni cellulari. Si può concludere che modificando la struttura del citoscheletro si può cambiare anche il programma genetico.

Gli esperimenti e le osservazioni di Ingber sulla struttura cellulare hanno provato l’efficienza del corpo umano nel necessitare di pochissima energia per conservare l’equilibrio funzionale, e come l’applicazione di tensione in un punto dell’insieme faccia reagire il corpo all’unisono.

“Ogni tessuto corporeo è portatore di qualche malattia risultante da una risposta patologica delle cellule all’applicazione delle forze meccaniche” ( Ingber, 1998 ).

Terapeuticamente (o patologicamente), l’incremento di tensione in uno degli elementi della struttura produrrà un incremento di tensione in altri elementi, perfino in quelli dal lato opposto e in quelli che sono molto lontani. Incrementando lo stress meccanico sono molteplici gli elementi che devono orientarsi in direzione della forza applicata; il risultato è una rigidità lineare della struttura. Applicando una tensione eccessiva, la struttura può collassare in più punti molto lontani da quello di applicazione, ad esempio in siti precedentemente risentiti.

La conclusione è che adesso si ha una visione globale del corpo umano come una unità autoequilibrata ed efficiente nella quale l’informazione si distribuisce globalmente dal livello microscopico fino al macroscopico.

Accanto alle caratteristiche tensegritive dei tessuti e della cellula occorre considerare un altro fenomeno che può aiutarci a studiare meglio la postura e le sue relazioni con l’occlusione e con le altre strutture recettoriali: si tratta dell’effetto piezoelettrico. Letteralmente significa elettricità di pressione. Si osserva di norma nei vetri, cioè in strutture fisiche caratterizzate da una distribuzione geometrica simmetrica e generalizzata: se si applica una forza meccanica ad un vetro, l’alterazione della struttura delle molecole produce una differenza di potenziale elettrico e, al contrario, applicando una corrente elettrica ad un vetro, si generano nelle stesse molecole variazioni dimensionali dovute ad un aumento di pressione.

Nel corpo umano, le ossa, i vasi sanguigni, la pelle ed i muscoli, si comportano come se fossero cristalli (in particolare cristalli liquidi) (Oschman, 1983; Juhan, 1987; Fukada e Yassuda, 1957; Braden et al. 1966; Fukada, 1974; Fukada e Hara, 1969;; Basset e Becker, 1957; Black e Korostoff 1974; McElhaney, 1961).

I cristalli del nostro corpo sono cristalli liquidi. Al realizzarsi di un’azione meccanica, p.es. quando un muscolo si distende insieme al tendine, il sistema fasciale si comprime e, di conseguenza, si genera una piccola differenza di potenziale elettrico. Questa differenza diventa armonica ed oscillante, rappresentando e registrando così le conseguenti azioni meccaniche. L’informazione si trasmette elettricamente attraverso la matrice vivente. Il collagene, che è il principale componente della matrice, è un semiconduttore: si conclude che è capace di formare una rete elettronica integrata che permette la connessione tra tutti gli elementi della rete del tessuto connettivo. Le proprietà basilari dei sistema fasciale (elasticità, flessibilità, allungamento, resistenza) dipendono dalla capacità di mantenimento dell’ininterrotto flusso di tale informazione. L’azione meccanica dei tessuti che circondano il sistema fasciale dovuta al movimento o ad impulsi esterni al corpo, genera piccole correnti elettriche (Oschman, 1993; Bouligand, 1978). Nelle terapie manuali, comprimendo il sistema fasciale, si può ristabilire un equilibrio compromesso da un trauma fisico o da una deformazione patologica, armonizzando la circolazione delle correnti elettriche biologiche.

Il fenomeno spiegato si osserva anche in ognuno dei componenti del cristallo. Il fenomeno si trasmette immediatamente alle altre unità dell’insieme. Essendo il collagene un componente fondamentale delle cellule del sistema fasciale, la stimolazione di un tessuto si trasmette attraverso il collagene a tutti i tessuti del corpo, come in una rete di informazioni. Ciò definisce alcuni schemi globali di riadattamento dei tessuti, nei quali l’azione restauratrice dell’equilibrio può colpire varie zone del corpo lontane tra loro.

Il connettivo della fascia quindi:

  • trasmette le forze meccaniche;
  • coordina l’azione muscolare;
  • riduce lo stress alle componenti cartilaginee e ossee;
  • riduce il dispendio di energia;
  • fornisce un sostegno meccanico, protezione, ammortizzazione a organi e apparati;
  • ha funzione di supporto vascolo-nervoso e azione emodinamica e di difesa immunitaria;
  • consente una comunicazione chimico-fisica tra le varie parti del corpo.

Sulla base dei concetti finora descritti possiamo trarre le prime conclusioni:

  1. siamo strutturalmente instabili al fine di garantire una risposta e una mobilità più rapida a variazioni contestuali interne e/o esterne;
  2. una postura corporea statica (e quindi anche mandibolare) non esiste;
  3. la postura è un concetto intrinsecamente dinamico;
  4. la postura è in continuo cambiamento.

Al fine di comprendere e interpretare la postura umana, gli effetti che essa provoca sui tessuti, le influenze che essa riceve dai tessuti stessi, e quindi anche gli effetti della malocclusione sulla postura, dobbiamo progettare un nuovo paradigma e allargare le nostre prospettive alla natura liquido-cristallina della matrice primaria, all’organizzazione architettonica tissutale di tipo tensegritivo, all’organizzazione funzionale proposta dalla scienza delle reti, all’organizzazione matematica frattalica e complessa dei suoi elementi.

Nella pratica osteopatica l’analisi dell’occlusione in relazione alla postura corporea deve essere essenzialmente una analisi fasciale, sia nella componente statica macroscopica che in quella dinamica. L’apparato stomatognatico deve risultare libero da restrizioni fasciali che possono interferire con la funzione masticatoria, respiratoria, deglutitoria, posturale (intesa come mantenimento della posizione di riposo col minor dispendio energetico). Schematicamente possiamo individuare dei gruppi funzionali mio-fasciali che hanno relazione con la bocca e l’atm, le cosiddette catene mio-fasciali, o catene muscolari, o catene fisiologiche, etc a seconda degli Autori.

E’ essenziale inserire, nella valutazione dell’occlusione, anche una valutazione statica e dinamica delle catene mio-fasciali che hanno attinenza con l’apparato stomatognatico:

  • catena statica;
  • catena di Flessione;
  • catena di Estensione;
  • catena crociata anteriore (o “di chiusura”);
  • catena crociata posteriore (o “di apertura”);
  • catena viscerale;
  • catena neuro-meningea;

 

Rappresentazione delle catene statica, di flessione, di estensione e della catena viscerale. Fonte: L. Busquet. 
Rappresentazione delle catene crociate di apertura e chiusura. Fonte: L.Busquet.

Ognuna di queste ha una relazione anatomica e funzionale con il sistema cranio-mandibolare e può condizionare la fisiologia della masticazione, deglutizione, respirazione, postura di riposo.

Sulla base della nostra esperienza, le disfunzioni mandibolari che possono dare interferenze a livello posturale sono quelle che determinano una masticazione monolaterale o una masticazione in centrica. Per esempio, a partire dalla prevalenza di massetere, temporale (fascio anteriore), pterigoideo interno, si creano delle aree di densità fasciale che interessano progressivamente le catene fasciali omolaterali di flessione e crociate con conseguenti adattamenti posturali a livello cervicale e del cingolo scapolo-omerale che riflettono la riduzione di dimensione verticale riscontrata a livello occlusale nel lato di masticazione prevalente (dove si riscontra l’ AFMP meno ampio). Viceversa, le condizioni posturali che possono predisporre verso una disfunzione del’atm o a una malocclusione sono quelle che favoriranno un lato di masticazione prevalente. Se ai test la mandibola mantiene coerenti e in fisiologia i suoi movimenti di apertura, chiusura, lateralità (AFMP), deglutizione, respirazione (competenza labiale), non avremmo ragione di considerare la mandibola e l’occlusione interferenti sulla postura e viceversa.

 

Caso clinico 1

Viola, 9 anni, dopo vari controlli odontoiatrici che non avevano evidenziato alcuna anomalia occlusale, si presenta al controllo semestrale con disallineamento degli incisivi superiori e perdita di simmetria degli AFMP. All’anamnesi prossima riferisce frattura di radio-ulna dx con lesioni tendinee multiple del gomito, con conseguente intervento chirurgico e riabilitazione fisioterapica. All’esame della postura si riscontra asimmetria del cingolo scapolo-omerale con inclinazione del capo verso la spalla dx e, al test fasciale dinamico, la prevalenza della catena di chiusura sx del torace e dell’arto superiore dx. Di comune accordo con i genitori della Pz, si è aspettato a intervenire con la correzione ortodontica e si è proceduto col trattamento osteopatico mirato a recuperare l’elasticità fasciale e a ridurre al minimo l’influenza di quest’ultima sulla muscolatura masticatoria.

 

Durante il periodo dei trattamenti si è osservato un miglioramento dell’assetto posturale e un progressivo recupero della simmetria nella funzione masticatoria, che nei mesi successivi si è tradotto in un progressivo miglioramento del disallineamento incisivo.
A distanza di tre anni dal ciclo di trattamenti (e senza l’intervento di terapia ortodontica) l’occlusione presenta rapporti di prima classe, assenza di deviazioni sia delle linee interincisive che dei frenuli, un buon allineamento, e soprattutto la simmetria degli AFMP, indice di corretta funzionalità dell’apparato stomatognatico, coerente con l’assetto posturale.

Considerazioni. 
Quando si affrontano le malocclusioni o i DTM sostenuti da una masticazione monolaterale dobbiamo tener presente che nella genesi del disturbo intervengono spesso fattori legati allo stress e alle capacità di adattamento a quest’ultimo da parte del paziente. In biologia si parla di “asimmetria fluttuante” come risposta fisiologica allo stress ambientale. La reazione allo stress, che sappiamo realizzarsi nelle fasi di allarme, di resistenza, di esaurimento, può estrinsecarsi anche a livello della muscolatura masticatoria, ad esempio sugli pterigoidei esterni con sviluppo di una lateralità prevalente da un lato.

Caso clinico 2

Cosimo, 13 anni, pratica nuoto a livello agonistico. Inviato dalla odontoiatra curante per recidiva del trattamento ortodontico effettuato per correggere una mal occlusione di 2ª classe con morso profondo e resistenza al cambiamento di posizione mandibolare tentata una seconda volta anche con l’applicazione di dispositivi fissi e trazioni elastiche intermascellari.

a)
b)

All’osservazione di profilo si evidenzia lo sbilanciamento anteriore del capo con prevalenza delle catene di chiusura dell’arto superiore e del torace, che si manifestano in modo marcato al TEE, dove la mandibola risente di tale tensione mio fasciale favorendo la perdita della competenza labiale (a – a’)

a’ )
b’ )

All’osservazione di profilo si evidenzia lo sbilanciamento anteriore del capo con prevalenza delle catene di chiusura dell’arto superiore e del torace, che si manifestano in modo marcato al TEE, dove la mandibola risente di tale tensione mio fasciale favorendo la perdita della competenza labiale (a – a’).

 

Documentazione fotografica

Si ringrazia Nicola Barsotti D.O. per la documentazione fotografica del caso. Tutte le foto sono pubblicate con il consenso e l’autorizzazione dei genitori dei soggetti in esse ritratti.

 

Bibliografia

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