Studio clinico nel trattamento dell’ipertensione

Contributo originale a cura di Fornari Mauro, Lombardi Luca, Curati Gloria, Rossi Nicola

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Abstract

La parte della medicina conosciuta come osteopatia, fondata da Still nella tarda metà del XIX secolo, utilizza tecniche manipolative per migliorare o guarire numerose disfunzioni e patologie del nostro tempo. Una delle più comuni patologie in occidente è l’ipertensione. In questo articolo verrà dimostrato il fondamentale ruolo dell’osteopatia nel trattamento dell’ipertensione; trattamento che ha comportato un abbassamento alquanto significativo dei valori di pressione sistolica e diastolica, sfruttando tecniche linfatiche e di liberazione dei diaframmi del corpo umano.

Lo studio nasce come studio pilota, analizzando 23 casi, con età compresa tra i 45 e i 65 anni, con diagnosi di ipertensione essenziale, già in trattamento farmacologico e seguiti da medici cardiologi. Il trattamento è consistito in 10 sedute, durante le quali ai pz è stato applicato un protocollo di sblocco linfatico e miglioramento della mobilità diaframmatica.

Il trattamento ha dimostrato un abbassamento significativo e duraturo nel tempo della pressione sistolica e diastolica; in alcuni casi ai pz è stata rimodulata la dose del farmaco che veniva somministrato.

Introduzione

La moderna comprensione del sistema cardiovascolare è iniziata grazie al lavoro del medico William Harvey (1578-1657), che descrisse la circolazione del sangue nel suo libro “de motu cordis”.

La prima misurazione risale al 1733 ad opera del sacerdote inglese Stephen Hales (1,2).

Il riconoscimento dell’ipertensione come malattia si deve, tra gli altri, a Thomas Young ed in particolare a Richard Bright e ai loro studi della prima metà del XIX secolo.

La prima descrizione di ipertensione arteriosa in assenza di una malattia renale si deve a Frederik
Akbar Mahomed (1849-1884) (3).
Storicamente il trattamento di quella che veniva definita come malattia del polso duro, consisteva
nel ridurre l’entità di sangue, grazie alla pratica del salasso o mediante l’applicazione delle sanguisughe; questo trattamento era sostenuto dall’imperatore cinese Huang Di, da Cornelio Celso, Galeno, Ippocrate Esunge (4).

I primi preparati chimici per la gestione dell’ipertensione sono stati usati dal 900 ma presentavano numerosi effetti collaterali, altri sono stati studiati dopo la II guerra mondiale.

A partire dal 2000 quasi un miliardo di persone al mondo, circa il 26% della popolazione adulta, soffre di ipertensione; questa condizione si trova sia nei paesi industrializzati, sia nei paesi in via di sviluppo, con picchi al 68,9 % negli uomini, e 72,5% nelle donne. (5)

Il trattamento di prima linea attualmente è improntato sul miglioramento dello stile di vita (movimento, modifica della dieta e diminuzione dell’utilizzo di sodio, associato all’uso di farmaci specifici).
Il nostro studio, così come hanno fatto altri in passato associa alla terapia farmacologica il trattamento osteopatico. Cercando in letteratura viene alla luce che la terapia manipolativa osteopatica ha mostrato di dare benefici ai pazienti con problematiche cardiache. La maggior parte di questi studi, esamina anche gli effetti dell’osteopatia sull’ipertensione.

Un primo studio è di John Downing, del 1914, il quale ha dimostrato che la terapia osteopatica
manipolativa faceva diminuire la pressione sanguigna, presumibilmente migliorando la circolazione cardiovascolare e rilassando il sistema muscolo- scheletrico (7).
Cinquant’anni più tardi, Thomas Northup (1961) utilizzando tecniche per rilassare i tessuti, abbassava anche i livelli di pressione sistolica e diastolica. N. aveva scoperto che le tecniche maggiormente utili erano le tecniche craniali, quali la mobilizzazione cauta dei temporali e tecniche per migliorare il drenaggio venoso centrale, riducendo le tensioni durali e la restrizione di movimento delle ossa craniche, che potevano compromettere il forame giugulare (8).
Nel 1964 Harold Blood descrisse un trattamento manipolativo osteopatico che portò a normalizzare la pressione in ipertensioni di grado lieve, usando solo manipolazione, mentre nelle ipertensioni più importanti il trattamento era associato al farmaco (9).

Sempre negli anni 60, Celander et al. e Finchera et al. riducevano gli effetti dell’ipertensione utilizzando tecniche che manipolavano il primo tratto dorsale e le vertebre cervicali. Oltre a valutare gli effetti sull’ipertensione, Celander aveva fatto una studio parallelo sugli effetti del trattamento sul sistema nervoso autonomo, misurando i livelli di fibrinogeno nel sangue; così facendo e dimostrando che i livelli diminuivano, aveva dato scientificità allo studio (10,11).

Altri studi degli anni 70 valutavano l’effetto delle manipolazioni osteopatiche sulla diminuzione della pressione, in particolare ricordiamo lo studio di Bayer, il quale aveva descritto anche una tecnica sulla fascia plantare, per avere riduzioni importanti della pressione sistolica.

Nel 1977, Stiles ebbe l’intuizione che uno specifico trattamento osteopatico, andasse a determinare un rilassamento sia emozionale che muscolo-scheletrico nei pazienti (12).
S. intuì che il trattamento del primo tratto dorsale aveva ripercussione sul cuore, per la presenza dei gangli ortosimpatici che mandavano le fibre post gangliari al cuore. Una disfunzione somatica di questo tratto poteva generare tachicardia; egli intuì anche che gli impulsi ortosimpatici dall’area toraco-lombare, mandano impulsi ai reni e ai surreni e che l’aumentato tono vasomotorio dei
reni può aumentare le resistenze periferiche all’interno del rene, diminuendo il flusso stesso all’interno dei glomeruli. L’aumento della secrezione dell’ormone antidiuretico dall’ipofisi e dell’aldosterone da parte del surrene, possono concorrere alla ritenzione di fluidi ed elettroliti. Si capì che tutti questi elementi potevano concorrere all’ipertensione. Infine S. descrisse il ruolo importantissimo del sistema linfatico. Una circolazione linfatica inadeguata comporta un’incapacità delle proteine a ritornare al sistema vascolare.
Mannino sfruttò i punti di Chapman, per diminuire i livelli di aldosterone (13), ma senza risultato duraturo nel tempo: i benefici si mantenevano solo nelle 36 ore dopo il trattamento.

Uno studio interessante fu fatto nel 1985, ad opera di Morgan e suoi collaboratori (14) . Il gruppo
studiò gli effetti di un trattamento su un gruppo di pazienti ai quali veniva effettuata la manipolazione dell’articolazione occipitoatlantoidea, del tratto da T1 a T5, da T11 a L1. Ad un altro gruppo venivano fatte manipolazioni del tratto da T6 a T10 e da L4 al sacro, basandosi sulle aree che erano state già descritte in letteratura. Contrariamente ad altri studi, i risultati furono piuttosto negativi; infatti lo studio non dimostrò alcuna riduzione significativa della pressione arteriosa.

Ipertensione essenziale
Il 90-95% dei casi di ipertensione arteriosa vengono definiti come ipertensione essenziale o primitiva. Questo termine indica semplicemente che l’ipertensione è di origine sconosciuta, in contrapposizione a quelle forme di ipertensione che sono secondarie ad una causa conosciuta, per esempio alla stenosi dell’arteria renale.

L’ipertensione arteriosa insorge quando intervengono modificazioni che alterano le relazioni tra il volume ematico e le resistenze periferiche totali.
Per l’ipertensione essenziale i fattori causali sono diversi: fattori genetici, fattori ambientali, stress,
obesità, fumo, scarsa attività fisica, eccesivo consumo di sale.

Meccanismo patogenetico
Uno dei fattori favorenti l’ipertensione è la ritenzione renale di sodio in eccesso: fattori genetici inoltre determinerebbero una riduzione della escrezione renale di sodio. La diminuita escrezione porta ad un aumento del volume dei liquidi extracellulari, causando l’incremento della gittata cardiaca.

Questa determina vasocostrizione periferica (dovuta ai meccanismi dell’autoregolazione), con lo scopo di prevenire l’eccessiva perfusione tissutale che risulterebbe dall’aumento senza ostacoli della gittata stessa. L’autoregolazione, però, fa sì che le resistenze periferiche aumentino e di conseguenza si elevi la pressione sanguigna.

L’aumento delle resistenze periferiche viene considerata la causa primitiva di ipertensione. I fattori che inducono vasocostrizione sono l’ aumento di rilascio di sostanze vasocostrittrici (renina, endotelina), la maggiore sensibilità della tonaca muscolare liscia dei vasi agli agenti vasocostrittori, oltre a fattori comportamentali o neurogeni (17).

Alcuni agenti vasocostrittori (es. angiotensina) fungono anche da fattore di crescita che determinano ipertrofia e iperplasia delle cellule muscolari lisce e deposizione di matrice extracellulare
Le linee guida attuali raccomandano, come primo intervento da attuare nel trattamento dell’ipertensione essenziale nella maggior parte dei pazienti, un cambiamento dello stile di vita, che andrebbe improntato ad un aumento dell’attività fisica e ad una riduzione del peso corporeo. Il trattamento antipertensivo farmacologico prevede principalmente due tipi diversi di farmaci:

1) vasodilatatori, che incrementano il flusso ematico renale;

2) natriuretici o diuretici che riducono il riassorbimento tubulare.

l progetto di tesi tiene conto del meccanismo patogenetico insistendo con particolare attenzione sul ruolo del sistema linfatico nell’omeostasi dei liquidi corporei, come si vedrà in seguito in dettaglio.

Materiali e metodi

Obiettivo dello studio
L’obiettivo dello studio è quello di dimostrare l’efficacia del trattamento manipolativo osteopatico sulla riduzione della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica nel paziente iperteso.
Utilizzando l’osteopatia si riuscirà a migliorare la circolazione sia sanguigna che linfatica nei vari distretti corporei così da influenzare i valori pressori dell’individuo. In base alla risposta che ogni soggetto manifesterà, il medico curante potrà valutare se mantenere o rimodulare la terapia farmacologica in atto.

Reclutamento
Nel seguente studio sono stati sottoposti a trattamento osteopatico (23) pazienti di età compresa tra i 45 e i 65 anni tutti con ipertensione essenziale e in trattamento farmacologico. I farmaci utilizzati da questi pazienti erano diuretici, ace-inibitori, calcio antagonisti, betabloccanti, con posologie specifiche per ogni singolo soggetto. Essi sono stati inviati alla nostra attenzione da medici di medicina generale, informati del lavoro che si sarebbe svolto sui loro pazienti.

Trattamento e protocollo
I pazienti sono stati osservati e trattati da operatori che hanno eseguito un iter ad personam di
valutazione, e successivo protocollo di trattamento. Sia la valutazione che il protocollo di trattamento sono stati sviluppati dal prof. Mauro Fornari in base alla sua esperienza clinica. Il
percorso di studio ha avuto una durata complessiva di dieci sedute, distribuite in cinque mesi di tempo suddivise in questo modo: quattro sedute a distanza di una settimana; quattro sedute a distanza di due settimane e le ultime due ad un mese una dall’altra.

Durante la prima seduta si è lavorato su tutte le disfunzioni afisiologiche (tripodi, traslazioni,
prima costa alta, up slip, compressioni), per poi procedere al trattamento indirizzato principalmente al piano fasciale, linfatico e neurologico del paziente. Si è iniziato con un lavoro fasciale mirato alle membrane intraossee degli arti superiori per poi passare alle costosternali, alle costo-vertebrali, alla fascia cervicale profonda e al pericardio. Quindi si è proceduto con lo sblocco linfatico partendo dal cranio fino al pavimento pelvico; il lavoro si è concluso con tecniche sulla catena ganglionare da D2 a D5 ed infine con un riequilibrio della fluttuazione longitudinale del liquor attraverso la tecnica del
IV° ventricolo. Il protocollo è stato ripetuto alla medesima maniera durante tutte e dieci le sedute.

Rilevamento dati
I pazienti sono stati sottoposti a misurazione della pressione arteriosa (PA) attraverso l’utilizzo di sfigmomanometri digitali con certificazione CE, così da eliminare qualsiasi errore umano e rendere
i valori più standard. Ogni pz veniva sottoposto a due misurazioni in posizione seduta e due in decubito supino, con un intervallo di cinque minuti tra la prima e la seconda misurazione così da permettere al paziente di rilassarsi e stabilizzare i propri valori pressori e le pulsazioni.

Alla fine del trattamento venivano ripercorse le stesse tappe con le medesime tempistiche. I medici di medicina generale infine, hanno certificato i valori rilevati in prima seduta e quelli misurati durante l’ultima seduta dello studio.

Risultati

L’analisi dei dati è stata sviluppata confrontando le medie delle misurazioni di ogni singolo paziente con quelle di tutti i pazienti dello studio nella stessa seduta. Il risultato è stato quello di ottenere un singolo valore per ogni seduta di trattamento che rispondesse al valore medio della pressione di tutti i pazienti. Questo ha facilmente permesso di dimostrare la tendenza generale alla diminuzione dei valori pressori in assoluto. Come mostrato nel grafico n.1, la pressione sistolica si è abbassata al termine delle 10 sedute del 7,5% (10,1 mmHg) mentre quella diastolica (grafico n.2) del 10,5% (8,7 mmHg). In alcuni casi si è arrivato persino a raggiungere un calo percentuale del 30,8% per la pressione sistolica e del 33,7% per quella diastolica.

Pressione sistolica

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Pressione diastolica

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Un dato rilevato in modo diffuso è stata la variazione pressoria tra i valori pre e posttrattamento.
I dati ci mostrano (grafici n.3 e n.4) come la pressione tenda a salire al termine del trattamento e come questa tendenza sia più marcata nelle prime sedute del ciclo di trattamento rispetto alle ultime. Tale variazione ha una durata limitata nel tempo e non si mantiene al controllo successivo. La pressione sistolica ha un aumento medio in percentuale del 2% con punte del 17% (27 mmHg) mentre la pressione diastolica dimostra un aumento del 2,8% con aumenti massimi del 17,6% (16 mmHg).

 

Confronto pressione sistolica prima e dopo il trattamento

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Confronto pressione sistolica prima e dopo il trattamento

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Il grafico della frequenza cardiaca (grafico n.5) non mostra un calo significativo dei valori medi della frequenza cardiaca ( 2 bpm ,circa il 4%). In alcuni pazienti non si è evidenziata alcuna tendenza alla diminuzione della frequenza cardiaca mentre in altri si è ridotta di circa il 10%

(8 bpm). I dati non sono stabili con differenze sensibili da soggetto a soggetto. Analizzando il confronto delle frequenze cardiache dei pazienti prima e dopo il trattamento manipolativo osteopatico (grafico n.6), la maggior parte dei pazienti ha riportato una riduzione dei battiti cardiaci. La media della riduzione è stata del 7,4% (5 bpm), con alcuni casi in cui i battiti sono scesi addirittura più del 20 % (18 bpm).

Frequenza cardiaca

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Confronto frequenza cardiaca prima e dopo il trattamento

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Alcuni dei pazienti hanno subito una rimodulazione farmacologica ancor prima del termine previsto delle 10 sedute visto il significativo calo pressorio, e la conseguente manifestazione sintomatologica derivante da una pressione arteriosa troppo bassa.

Discussione

I dati ottenuti ci fanno supporre che la pressione arteriosa non sia regolata da un singolo sistema di controllo ma dall’interazione di diversi sistemi, a ognuno dei quali è affidata una funzione specifica. Le risposte ad una variazione pressoria possono essere a breve termine o a lungo termine e
vengono svolte da meccanismi diversi tra loro.

 

Meccanismi di controllo a breve termine, agiscono in pochi secondi o minuti e sono rappresentati quasi unicamente da riflessi o altre risposte nervose:

1) il meccanismo a feedback barocettivo;

2) la risposta ischemica del sistema nervoso centrale;

3) il meccanismo chemocettivo

 

Meccanismi di controllo a medio termine, mostrano una risposta significativa solo a distanza di alcuni minuti da una variazione improvvisa della pressione arteriosa:

1) il sistema reninaangiotensina;
2) la tensione-rilassamento (stressrelaxation) dei vasi;

3) lo spostamento dei liquidi attraverso i capillari.

 

Meccanismi di controllo a lungo termine; è il meccanismo di controllo pressorio rene-liquidi
corporei, il quale necessita di alcune ore per iniziare a fornire una risposta significativa, ma alla fine esso opera come feedback a “guadagno infinito”. Ciò significa che questo meccanismo è in grado di portare prima o poi, la pressione arteriosa esattamente a quel valore che permette la normale eliminazione renale di acqua e sale e non solo di farla scendere parzialmente. Va infine ricordato che molti fattori possono modificare il livello di regolazione pressoria del sistema reneliquidi corporei (ad esempio l’aldosterone, o il sistema renina-angiotensina) (20)

 

Da quanto detto si evince come sia necessario riuscire ad intervenire sul meccanismo che agisce a lungo termine se si vogliono ottenere risultati definitivi e stabili nel tempo. Il trattamento osteopatico proposto va incontro a questa esigenza, ristabilendo una corretta omeostasi dei liquidi corporei compiendo manipolazioni di drenaggio linfatico e di liberazione dei diaframmi.

 

Una importante ipotesi sul ruolo del circolo linfatico sull’ipertensione prevede che un insufficiente flusso linfatico produrrebbe un’incapacità delle sostanze proteiche di essere riassorbite, in maniera adeguata, nel sistema vascolare venoso. Questo porterebbe ad una potenziale situazione di ipoproteinemia, con possibili effetti sui liquidi e sul bilancio elettrolitico, favorendo il passaggio di fluido dagli spazi intravascolari a quelli extravascolari. Questo decremento del volume intravascolare promuoverebbe il rilascio di aldosterone che faciliterebbe l’aumento dello stato ipertensivo (12).
A livello fisiologico molti pazienti soggetti ad ipertensione essenziale mostrano un’iperreattività agli stimoli simpatici vascolari e cardiaci. Uno stimolo prolungato al rene crea una ritenzione funzionale di acqua e sale aumentando così la pressione (15). Inoltre l’aumento del tono simpatico produce un aumento della secrezione di catecolamine provocando vasocostrizione e incrementando la contrattilità miocardica, la frequenza cardiaca e la gittata cardiaca. Infine una stimolazione simpatica provoca anche un aumento del rilascio di renina che a sua volta innesca il meccanismo associato renina-angiotensinaaldosterone che rafforza lo stato di vasocostrizione ed aumenta il riassorbimento tubulare di sodio (13).

 

A livello anatomico i neuroni pregangliari fuoriescono dal midollo spinale e si dirigono nel tronco simpatico che si trova direttamente davanti alle teste costali nella regione toracica, e davanti alle vertebre nella regione cervicale. Agendo su questi punti si può ottenere un’inibizione del sistema ortosimpatico a livello cardiaco, renale, della ghiandole surrenali e sulla muscolatura vascolare. Il sistema parasimpatico è essenzialmente rappresentato dal terzo, settimo, nono e decimo nervo cranico che lasciano il sistema nervoso centrale dalla base cranica per dirigersi nella loggia del collo verso gli organi bersaglio (16).

 

Il tono parasimpatico si può controllare osteopaticamente con tecniche fasciali sulla loggia del collo e con tecniche cranio-sacrali. Ecco che in quest’ottica un trattamento osteopatico mirato a promuovere il decremento del tono simpatico provocherebbe indirettamente un calo della pressione arteriosa disinnescando questo circolo vizioso mantenuto dall’iperreattività ortosimpatica.

 

Il trattamento proposto contiene manovre mirate ad un approccio trasversale al problema dell’ipertensione agendo sia sul sistema nervoso autonomo (con manipolazioni vertebrali e costali,
tecniche fasciali, cranio-sacrali e viscerali ), sia sul sistema reni-liquidi corporei (con tecniche di drenaggio linfatico), oltre a indurre un rilassamento generale del paziente che favorisce un calo del livello di stress e di ansia, fattori che facilitano l’insorgere e l’aggravarsi di stati ipertensivi. I risultati dei trattamenti mostrano chiaramente come il trattamento osteopatico possa essere d’aiuto nella prevenzione e cura dell’ipertensione essenziale e di come i risultati ottenuti siano stabili nel tempo visto che le sedute finali erano distanziate di un mese tra loro.

I risultati maggiori si sono ottenuti nelle prime 5/6 sedute di trattamento, successivamente alle quali il calo è stato leggermente minore ma costante.

Sebbene le sedute fossero più distanti tra loro nel tempo, rispettivamente di 15 giorni e di 30 giorni, non si è osservato un ritorno della pressione ai valori precedenti l’inizio del trattamento.

5 pazienti hanno dovuto rimodulare il dosaggio farmacologico, in accordo con il medico curante, prima del termine delle dieci sedute in quanto la pressione arteriosa era scesa in maniera sensibile.

 

I pazienti facenti parte al progetto verranno controllati su una distanza temporale maggiore per valutare se i risultati ottenuti saranno rimasti stabili nel tempo.

 

Conclusione

In conclusione il trattamento osteopatico è risultato efficace nel ridurre la pressione arteriosa nel lungo termine, ma questa riduzione può essere senza alcun dubbio migliorata se associata ad un cambiamento dello stile di vita con attività fisica e dieta appropriata. Questi miglioramenti possono indurre ad un calo del dosaggio farmacologico con un chiaro vantaggio da parte del paziente e della spesa pubblica sanitaria. Inoltre l’assenza di controindicazioni nel trattamento ed il beneficio sullo stato d’ansia che si ottiene rende particolarmente bene accetta la seduta osteopatica, che anche sotto questo aspetto indubbiamente aiuta in piccola parte ad apportare un miglioramento della qualità della vita.

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