Contributo originale a cura di Francesco Bottaccioli, Direzione Master “PNEI e scienza della cura integrata” Università dell’Aquila. Fondatore e Presidente on. SIPNEI
Scarica l’articolo in formato .pdf
La PNEI è la disciplina che studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici. La PNEI è il risultato della convergenza dei cambiamenti avvenuti nelle discipline scientifiche nel corso del novecento in campo endocrinologico, neurologico, immunologico ma, soprattutto negli ultimi anni, anche psicologico. Con la PNEI quindi viene a profilarsi un modello di interpretazione della salute e della malattia che vede l’organismo umano come unità strutturata e interconnessa dove le due dimensioni, fisica e psichica, si condizionano reciprocamente. Questo fornisce la base per la ricerca ma anche per la prevenzione e per la terapia delle malattie soprattutto di tipo cronico e configura anche la possibilità di andare oltre la contrapposizione storica di tipo filosofico tra mente e corpo che ha segnato tutto l’occidente e di andare oltre la divisione clinica e scientifica tra psicologia e medicina.
Sul New England Journal alcuni anni fa è uscito un editoriale che imputava la crisi del sistema medico corrente ai costi insostenibili, agli scarsi risultati, ai frequenti errori medici, alla scarsa soddisfazione dei pazienti e dei medici, alla disparità nei confronti dell’accesso alla salute. Tra le cause di questa situazione c’è sicuramente il cambiamento del modello di malattia che, agli inizi del novecento, era basato su una popolazione giovane che si ammalava di malattie acute, infettive e trasmissibili. Nel ventunesimo secolo c’è una prevalenza di malattie croniche, non trasmissibili, non infettive; la gran parte della mortalità adesso è data da malattie cardiovascolari, cancro e diabete (70%). Ci sono anche altre cause descritte in modo magistrale da George Engel, medico internista con formazione in psicoanalisi e medico psicosomatista, il quale, in un saggio pubblicato su Science nel 1977 individua in queste parole chiave la crisi del paradigma medico occidentale: dualismo, riduzionismo, fisicalismo.
Dualismo e quindi l’idea che la mente sia separata dal corpo, riduzionismo e cioè ridurre la complessità di un fenomeno in un determinante semplice, fisicalismo e cioè pensare che il linguaggio della fisica e della chimica possa essere sufficiente a spiegare i fenomeni biologici. Le conseguenze sono che il modello medico corrente ignora l’origine complessa delle malattie, medicalizza i fattori di rischio e spesso persone asintomatiche vengono definite malate per facilitare il trattamento con i farmaci.
Per quanto riguarda il cervello, i dati scientifici dominanti della ricerca del novecento partivano da postulati ben precisi: le vie nervose erano considerate fisse e immutabili, le sinapsi strutturate per la trasmissione punto a punto e la barriera ematoencefalica era vista come separazione tra il cervello ed il resto del corpo. Questo filtro selettivo ha determinato un ritardo nella conoscenza della comunicazione corpo-cervello e cervello-corpo perché il presupposto era che la barriera impedisse ad esempio alle molecole prodotte dal sistema immunitario di passare all’interno del cervello. La nuova visione è incardinata invece su concetti diversi: il cervello funziona con network cerebrali all’interno dei quali ci sono aree specializzate, la sinapsi è una realtà complessa e modulabile, la plasticità cerebrale è ormai documentata così come sono documentate la neurogenesi, l’epigenetica, la penetrabilità della barriera e la comunicazione tra i sistemi di cui si occupa la PNEI.
Network cerebrali: il sistema limbico è collegato al sistema motorio e poi alle cortecce mediali prefrontale e orbito-frontale che sono le due aree cruciali per la gestione delle emozioni e dello stress. Da qui lo stimolo stressante viene elaborato ed il contenuto emozionale di questo stimolo ritorna al sistema limbico il quale poi attiva l’asse dello stress. Questo circuito è molto amplificato nell’essere umano perché la valenza emozionale dei contenuti stressanti è insita nel nostro cervello; nel momento in cui abbiamo un contatto con uno stressor, noi ne identifichiamo al volo il contenuto emozionale. Ci sono altri circuti che si stanno studiando, ad esempio quello fronto-parietale, e c’è una nuova visione di altre aree specializzate con produzione di proprietà emergenti.
La sinapsi è un meccanismo formato da due neuroni e dalla glia, soprattutto dagli astrociti che sono gli elementi fondamentali della sinapsi; la stabilità del circuito sinaptico è dovuto a proteine transmembrana ma anche a componenti fisiche, meccaniche, elettriche, chimiche e magnetiche. Nella produzione della memoria ad esempio c’è rilascio di glutammato che è fondamentale per la memoria, ma anche di uno sciame di fotoni che rappresentano la componente quantistica che serve a stabilizzare il circuito grazie al fatto che questo sciame ha un tempo di persistenza molto più lungo dell’attività chimica. La sinapsi inoltre è modulabile da trasmettitori, citochine e ormoni.
Sulla plasticità cerebrale possiamo dire che il cervello è plastico nel momento in cui reagisce allo stress, all’alimentazione, all’attività fisica e che questi comportamenti producono non solo una cascata di mediatori ma anche una modulazione epigenetica (attraverso la metilazione del DNA e l’acetilazione degli istoni).
Neurogenesi: il giro dentato è una parte fondamentale dell’ippocampo che serve la memoria spaziale ed episodica e, a questo livello, c’è costantemente la produzione di neuroni che derivano da cellule staminali. La neurogenesi è modulata dall’esercizio fisico e da un ambiente stimolante, dall’attività sessuale e dall’attività mentale che modifica la struttura fisica del cervello (ippocampo e amigdala) nel bene e nel male (ipertrofia o atrofia).
Comunicazione tra i sistemi: c’è una stretta unità tra percezione e azione, tra sistema visivo, motorio e semantico. Il sistema motorio in questa nuova prospettiva non è più solo un output system ma assurge al ruolo di sistema costitutivo dei processi cognitivi riguardanti il pensiero, il linguaggio, la memoria. La gestualità quindi ha un ruolo comunicativo ma anche intracognitivo e ci sono una serie di evidenze che dimostrano che quando si richiama un evento la gesticolazione può favorire il ricordo dei dettagli meglio di quando la gesticolazione è interdetta. A questo proposito si possono citare anche le correlazioni tra movimento e alterazioni neuropsichiatriche (vedi la depressione catatonica con associata ipocinesia o il M. di Parkinson con coesistenti disturbi emozionali e depressivi). E’ assodato che l’esercizio fisico strutturato ha effetti positivi sulle depressioni maggiori, sui disturbi d’ansia, sulle demenze e su altri disordini neurovegetativi. Quali sono le basi neurofisiologiche di queste evidenze? Sono costituite dal circuito motorio (aree corticali-gangli della base-talamo-aree corticali), da quello esecutivo e da quello emozionale (cingolato anteriore-striato ventrale-sistema limbico-amigdala) . L’amigdala in particolare ha il ruolo di deposito delle memorie implicite ma contribuisce anche all’aumento della memoria per eventi emozionali, quindi è parte integrante del circuito che produce memoria; la memoria non è soltanto il dialogo tra aree corticali e ippocampo ma è “aree corticali-ippocampo-amigdala” perché c’è sempre la valutazione della dimensione emozionale . L’amigdala è fondamentale sia per la memoria spaziale ed episodica (memoria dichiarativa) che per la memoria implicita e abitudinaria (subcosciente) localizzata nello striato . Sotto stress l’amigdala invece di prendere la via dell’ippocampo va verso lo striato ed è per questo che sotto stress noi preferibilmente ricorriamo a risposte abitudinarie e abbiamo riflessi e stimoli che recuperano pattern di comportamenti consolidati e strutturati e anche reazioni emozionali di tipo inconscio, implicito. C’è quindi una connessione bidirezionale tra il limbico e lo striato.
Il sistema motorio ristruttura il cervello; un gruppo di ricerca americano ha dimostrato che l’attività aerobica migliora la fitness, la funzionalità motoria, la fatica, l’umore e la cognizione in persone affette da M. di Parkinson.
La circolazione linfatica e quella sanguigna portano a livello centrale le citochine sia attraverso la barriera emato-encefalica tramite i recettori ma anche tramite gli organi circumventricolari che non hanno barriera ematoencefalica e quindi servono per la regolazione rapida; attraverso queste porte viaggiano citochine, cellule, linfociti T memoria, quindi la separazione tra sistema immunitario e cervello non esiste.
Le citochine vengono recepite inoltre da recettori contenuti soprattutto nel grande albero vagale che fa un lavoro di recezione dei segnali che vengono dal corpo ma ha anche una azione efferente, ad esempio di regolazione dell’attività gastro-intestinale e dell’infiammazione. A questo proposito uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato la regolazione dell’infiammazione a partenza da una zona intestinale; le citochine infiammatorie liberate dai macrofagi vengono catturate dal vago afferente il quale fa partire un segnale efferente che, con il rilascio di acetilcolina, blocca l’attività dei macrofagi e quindi l’infiammazione. Quindi nelle malattie infiammatorie intestinali l’attività del vago è ridotta; se c’è un morbo di Crohn o una RCU l’infiammazione intestinale ha come effetto la riduzione dell’attività vagale. Come si può regolare il vago? Ci sono dispositivi elettrici portatili o inseriti sottocute stabilmente ma ci sono anche tecniche osteopatiche, l’agopuntura e la meditazione. Le malattie infiammatorie croniche non si possono curare in maniera risolutiva con la terapia farmacologica, quindi è fondamentale avere una visione integrata della cura.
Per medicina integrata si intende spesso una integrazione della medicina cosi detta occidentale con le medicine complementari; in realtà, dal mio punto di vista, medicina integrata significa visione dell’essere umano nella sua interezza, quindi nella sua dimensione psicologica e biologica assieme alla scienza, all’alimentazione, all’agopuntura, alla meditazione, alle tecniche manuali; l’integrazione vera è possibile se c’è un paradigma scientifico comune e tutte le figure devono condividere la stessa visione del funzionamento dell’organismo umano e, sulla base di questo, costruire un linguaggio comune che consente ad ogni operatore di mantenere la sua specificità. Anche la ricerca deve avere delle basi comuni. Proprio per questo preferiamo alla definizione di “medicina integrata” quella di “scienza dellacura integrata” perché le figure che intervengono sono tante e non solo di area medica e poi perchè bisogna prendersi carico della persona e non semplicemente trattarla.