Dott.ssa Cristina Ottaviani – Università La Sapienza, Roma, dal seminario “Attualità sul Sistema Nervoso Autonomo: dal laboratorio sperimentale alle applicazioni cliniche“, Parma, maggio 2018.
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La variabilità della frequenza cardiaca è importante per la nostra salute, sia fisica che psichica.
Una ridotta variabilità può essere considerata come una minore capacità di adattamento all’ambiente circostante che si modifica continuamente; in altri termini, il sistema risulta meno flessibile a rispondere alle richieste del mondo esterno.
Da ciò si evince che questa mancata flessibilità possa aumentare il rischio di soffrire di alcune patologie cardiovascolari, alcuni disturbi psichici (disturbi d’ansia, disturbi depressivi, ecc..) ma in generale, una ridotta variabilità del battito cardiaca è considerata oggigiorno come un fattore trans diagnostico (il fattore P in psicopatologia), ovvero risulta essere comune a tutti i disturbi.
Com’è possibile aumentare la variabilità della frequenza cardiaca?
Anzitutto è bene conoscere quali i sono i fattori che influenzano la variabilità del battito cardiaco: stress, sonno (quantità e qualità), dieta, malattie, esercizio fisico, stile di vita, farmaci, età. E’ altresì importante sapere che su alcuni di questi non è possibile agire in modo efficace (età, sesso ed etnia), mentre è possibile farlo su altri.
Ad esempio la dieta è uno di quei fattori su cui si può agire in modo diretto; ci sono diversi studi condotti dal Dott. Julian Thayer che mostrano come un’alimentazione ricca di Omega-3 influisca beneficamente sulla variabilità della frequenza cardiaca.
È emerso, infatti, che nelle persone sottoposte a dieta, vi è stato un aumento della variabilità del battito cardiaco e, associato a questo, un miglioramento della qualità del sonno.
Un altro fattore che si deve prendere in considerazione è l’attività fisica. È bene precisare che un eccesso di allenamento fisico (over-training) può portare a un innalzamento eccessivo della variabilità della frequenza cardiaca ed avere effetti negativi. In alcuni studi di ricerca si è esaminata la relazione tra esercizio fisico e variabilità del battito cardiaco, riportando che i soggetti maggiormente allenati risultano avere una maggiore variabilità della frequenza cardiaca al contrario di quei soggetti che conducono uno stile di vita più sedentario. Inoltre, è stato dimostrato che una sospensione dell’esercizio fisico (fase di detraining), comporta un abbassamento della variabilità cardiaca ed anche un peggioramento delle funzioni esecutive a livello della corteccia cerebrale prefrontale.
Altri metodi per agire sulla variabilità della frequenza cardiaca derivano dalle culture orientali: si tratta di yoga, tai chi e meditazione. Da una metanalisi condotta si evince una significativa correlazione tra queste discipline e l’aumento della variabilità cardiaca. In particolare, si è notato che la respirazione gioca un ruolo fondamentale. Da qui si introduce il concetto di “resonance frequency” e cioè quella capacità di respirare in risonanza con il funzionamento dei nostri barocettori. La nostra pressione oscilla seguendo i ritmi delle fluttuazioni interne dell’organismo e se anche la respirazione si coordina con questa frequenza si ha il massimo effetto sulla variabilità della frequenza cardiaca.
Un altro metodo per ripristinare ed innalzare la variabilità della frequenza cardiaca è la psicoterapia. Da uno studio condotto dalla Dott.ssa Cristina Ottaviani, in collaborazione con il Prof. Nicola Petrocchi, è stata messa a punto la tecnica dello “specchio compassionevole” sviluppata all’interno della terapia cognitiva della compassione di sé. Lo scopo di questa terapia è quello di migliorare l’emotività e la motivazione in prima istanza dei soggetti e successivamente aumentare la variabilità del battito cardiaco.
Un altro studio, invece, mostra come anche le tecniche di stimolazione cerebrale (TMS e tDCS) possano incidere sulla variabilità cardiaca. La tecnica TMS (stimolazione transcranica magnetica) utilizza un campo magnetico in una particolare area cerebrale per renderla inattiva. Al contrario, la tDCS (stimolazione elettrica) agisce sulle aree cerebrali, attivandole. Ciò che di importante emerge da queste ricerche è che entrambe le stimolazioni hanno un impatto efficace nell’aumento della variabilità del battito cardiaco, ma la tecnica TMS risulta più efficace, poiché molto più precisa nella localizzazione delle aree cerebrali.
Un’altra tecnica consiste nella “Stimolazione vagale non invasiva” (VNS). Si può eseguire tramite una stimolazione dei barocettori a livello carotideo, oppure all’interno dell’orecchio cercando la derivazione auricolare del nervo. Attualmente ci sono diversi studi in fase di sperimentazione, uno tra questi è condotto dal Prof. Julian Thayer, dai quali si possono intuire dei risultati molto interessanti: si è visto, infatti, che la stimolazione vagale è una tecnica promettente sia per la terapia dell’ipertensione arteriosa essenziale, sia per riuscire a inibire il pensiero intrusivo che condiziona l’organismo dopo una situazione di stress.